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Code 2-18: Surreal - Step Three: Code 2-18, #4
Code 2-18: Surreal - Step Three: Code 2-18, #4
Code 2-18: Surreal - Step Three: Code 2-18, #4
Ebook282 pages3 hours

Code 2-18: Surreal - Step Three: Code 2-18, #4

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About this ebook

La base aerea di Grosseto è perduta, la portaerei CVN-75 Harry Truman giace sul fondo del Mediterraneo spezzata a metà. Gli Alleati sono costretti a ritirarsi dal centro Italia e le pattuglie di ricognizione Skull e Crossbones sono state abbandonate a loro stesse.
Quando il ritorno a casa è impossibile, l'unica cosa da fare è proseguire sempre più in profondità nel territorio nemico, fino in fondo, tra disperazione e coraggio. Verso il punto Zero, il luogo dove ha preso vita l'incubo di nome Kasdeya.
Mentre le forze militari ancora devono riprendersi dallo shock della sconfitta, l'ultima speranza dell'umanità si chiama Delayenne: lavora sempre da sola, ama le lame affilate e ha un caratterino alquanto strafottente...

Terzo e ultimo Step del progetto Surreal, ma i nostri eroi non hanno ancora terminato le loro avventure. Seguiranno altri volumi targati Morning Star.

---

La saga Code 2-18 racconta un presente alternativo in cui l'Unione Sovietica non si è mai dissolta e il conflitto armato e ideologico fra le maggiori superpotenze mondiali è infine esploso in una vera e propria Terza Guerra Mondiale. È una storia sospesa a metà fra il thriller militare e la fantascienza, vissuta attraverso gli occhi di uomini e donne in armi, ma anche di spietati assassini, trafficanti d'armi e cittadini innocenti.

I volumi disponibili:
1) Surreal Step One
2) Intermission One - Black Breeze
3) Surreal Step Two
4) Surreal Step Three
5) Intermission Two - FOG of War

LanguageItaliano
Release dateFeb 27, 2015
ISBN9781311501905
Code 2-18: Surreal - Step Three: Code 2-18, #4
Author

Morning Star Alliance

Nel 2008 nasce la Morning Star Alliance, un'associazione segreta dalle finalità oscure.

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    Code 2-18 - Morning Star Alliance

    Capitolo 1

    4 maggio 2012, ore 02:51 locali - Nei cieli sopra l’Atlantico

    Il Lockheed YMC-130ECD Combat Dagger conservava ben poco della struttura di base dell’MC-130 da cui derivava. Progettato come trasporto d’assalto per infiltrare squadre di incursori sul campo senza essere individuato dal nemico, era stato dotato di ala a freccia, motori supersonici, impennaggi a bassa visibilità radar, e soprattutto montava il modulo ECD: il primo sistema active stealth che l’USAF, e qualunque altra aeronautica militare del mondo, fosse riuscita a rendere operativo.

    I normali C-130 Hercules potevano trasportare anche un centinaio di soldati, il Combat Dagger invece possedeva una stiva di carico più che dimezzata. Il resto della fusoliera era stato destinato al generatore ECD e a un paio di serbatoi interni supplementari, aggiunti al progetto originale per aumentare considerevolmente il raggio d’azione del cargo d’assalto.

    Senza contare il fatto che la nuova fusoliera, irrobustita per resistere alle sollecitazioni della velocità e ammorbidita nelle forme per diminuire la segnatura radar, contribuiva a ridurre sia l’altezza che la larghezza del vano di carico.

    Non che i passeggeri in quel momento a bordo del Combat Dagger avessero da lamentarsi per lo spazio disponibile: erano solo in tre, la stiva era tutta per loro. C’erano il sergente tecnico addetto al vano di carico, lo scienziato del DoD Leonard Cherniawski, e per finire Delayenne.

    Quest’ultima era ormai entrata in modalità di combattimento, silenziosa e concentrata a ripassare mentalmente i dettagli dell’operazione. Nella vita di tutti i giorni poteva anche passare per una persona frivola, capricciosa o addirittura sconsiderata, ma sul campo veniva sempre fuori la sua essenza di vero soldato.

    Leonard invece stava armeggiando con le frequenze della stazione di comando mobile, la postazione che lui occupava quando la cyborg entrava in azione. Quella in cui sedeva al momento era una versione adatta a essere imbullonata sul pianale di carico dell’YMC-130ECD, e comprendeva sia sofisticati sistemi di comunicazione, che i computer su cui giravano i software incaricati di monitorare le funzioni vitali di Delayenne.

    Leonard aveva già lanciato una diagnostica completa del sistema, che gli aveva confermato luce verde su tutti i parametri. Ormai lui e Delayenne dovevano solo attendere che il cargo giungesse alla destinazione prefissata.

    D’un tratto il sottufficiale dell’AFSOC, il Comando Operazioni Speciali dell’Aeronautica, mise da parte la sua rivista di automobili, si alzò dal seggiolino e raggiunse i due passeggeri.

    «Signore, il pilota mi ha appena confermato che mancano cinque minuti al punto di lancio.» Disse, picchiettandosi il casco con un dito all’altezza dell’orecchio destro, per far intendere che la comunicazione gli era giunta via radio. «Credo che sia tempo anche per lei di indossare il casco, e soprattutto la maschera a ossigeno, signore.»

    «Sì, giusto.»

    Leonard recuperò il suo casco, simile a quello di un pilota ma privo di visiera oscurata estraibile, e lo infilò mentre il sottufficiale andava ad azionare un interruttore a muro che mutò in rosse tutte le luci bianche del vano di carico.

    Delayenne si alzò in piedi, il corpo fasciato da una tuta da combattimento sintetica, composta da avveniristiche fibre a elevata resistenza balistica e rinforzi di materiali polimerici nei punti di maggiore stress. Era color nero opaco, con larghe porzioni dipinte a chiazze mimetiche nere e antracite, perfetta per nascondersi nel buio della notte. Osservato da vicino, il tessuto sintetico rivelava una trama composta da una moltitudine infinita di minuscoli esagoni che si incastravano perfettamente l’uno all’altro.

    Delayenne indossò il suo caschetto leggero da combattimento, munito di cuffie di comunicazione e sensori elettro-ottici, IR e termici. Da sotto il caschetto e dalla sua sommità, aperta, spuntavano i capelli grigio platino della donna, tagliati abbastanza corti, mentre i suoi occhi ambrati erano nascosti dai visori elettronici. Per quella missione Delayenne aveva anche dovuto agganciare ai due lati del casco l’apposita mezza maschera a ossigeno, dato che le circostanze avrebbero richiesto un lancio da alta quota. Lassù l’aria era talmente rarefatta da non permettere la normale respirazione, almeno finché non si fosse scesi sotto i seimila metri di altitudine.

    La maschera era collegata a una limitata riserva di ossigeno contenuta nell’imbracatura frontale, mentre quella posteriore era occupata dal paracadute direzionale. Cinghie di sicurezza e buffetteria erano tutte nere, come la vela contenuta all’interno dello zaino.

    «Prova-prova; Delayenne, mi senti?» Chiese via radio Leonard, testando il suo collegamento.

    «Guarda che si dice controllo radio, non prova-prova. Siamo in guerra, non sul palco di un concerto rock.» Scherzò lei, che nonostante tutto non perdeva mai un’occasione per deridere il povero Leonard.

    «Sì, penso che la radio funzioni... Il tuo respiratore?»

    «Viaggia alla grande. Diamoci una mossa con quel portellone, non vedo l’ora di sgranchirmi un po’ le ali.»

    «Anche il mio respiratore è operativo.» Confermò lo scienziato, non senza una certa nota di nervosismo.

    Quella era la prima volta che si trovava in procinto di volare all’interno di una fusoliera mezza aperta, a un’altitudine di dieci chilometri sul livello del mare. Il fatto di essere saldamente ancorato al pavimento del cargo non era sufficiente a tranquillizzarlo del tutto. Strinse ancora di più la cintura di sicurezza, come se corresse davvero il rischio di essere risucchiato fuori dalla stiva.

    «Occhi e orecchie aperti, gente. Iniziamo a depressurizzare.» Disse l’addetto al vano di carico, attraverso il microfono radio contenuto nel suo respiratore.

    Il portellone posteriore dell’YMC-130ECD si aprì scivolando all’interno della fusoliera, per evitare di far perdere all’aereo il suo profilo stealth; mentre il potente sibilo dei motori invadeva la stiva del cargo. Le protezioni sonore contenute all’interno dei caschi dei tre passeggeri li avrebbero protetti dal frastuono, ma Leonard si accorse ben presto che il giaccone imbottito che gli avevano fatto indossare al momento del decollo non era sufficiente a ripararlo dal freddo glaciale dell’aria a diecimila metri di quota.

    Delayenne avanzò verso la finestra di cielo oscuro che si era aperta di fronte a lei, i capelli grigi scompigliati dai violenti turbinii di vento che si infilavano nella carlinga.

    «Un minuto.» Sancì il sottufficiale dell’AFSOC, sollevando il dito indice.

    Era stato scelto per quell’incarico perché conosceva bene il suo lavoro, ma soprattutto era una persona fidata, che mai si sarebbe messa a spifferare di aver dato un passaggio a una tipa come Delayenne. Anche se per lui sarebbe stato impossibile dimenticare quella figura tenebrosa, con il volto nascosto da ottiche e respiratore, e con addosso quella fantascientifica tuta da combattimento.

    Quando il pilota gli diede il via libera, il sottufficiale pigiò il bottone per accendere le luci verdi in cabina al posto di quelle rosse.

    «Buona fortuna, Delayenne.» La salutò Leonard.

    «Grazie, ma con il mio talento e il mio bel faccino la fortuna non mi serve affatto, Leonerd.» Rispose spavalda e impertinente la cyborg, lanciandosi dal portellone del Combat Dagger dopo una breve rincorsa.

    * * *

    4 maggio 2012, ore 18:28 locali - Porto di Vladivostok, URSS

    Il superyacht dei cantieri Lürssen Werft aveva attraccato da un paio d’ore, quando il suo proprietario lo raggiunse via terra.

    Ivan Grošcev, comunemente detto Harlequin, aveva attraversato la città di Vladivostok a bordo di un anonimo SUV Audi Q7, scortato unicamente dal suo autista, fino a varcare senza problemi l’ingresso dell’area portuale interdetta.

    Il ceceno in realtà non era più persona gradita in Russia, ma mantenendo un profilo basso, e sganciando qualche mazzetta ai funzionari politici giusti, erano pochi i luoghi della sua vecchia Rodina che non era in grado di raggiungere. Men che meno una città sperduta come Vladivostok, posta alla più lontana estremità orientale dell’Unione Sovietica.

    Il SUV Audi attraversò le banchine procedendo a bassa velocità, per poi arrestarsi di fronte alla scala d’accesso dello yacht, posta a poppa.

    Harlequin smontò dal veicolo e contemplò con orgoglio l’imponente scafo blu e bianco del suo Lürssen Werft da settantacinque metri.

    «Era da un bel po’ di tempo che non facevo visita alla mia cara Ingrid.» Disse all’autista, impegnato a tenergli aperta la portiera dell’Audi. «Forse uno di questi giorni dovrei mandarvi tutti quanti affanculo e concedermi una bella crociera per i mari del sud, invece di lasciare che siano i miei collaboratori a godersi questa bellezza al posto mio.»

    L’autista sogghignò. Neanche a lui avrebbe fatto dispiacere trascorrere una bella vacanza a bordo del lussuoso superyacht del suo datore di lavoro.

    Harlequin raggiunse il ponte principale, salutato con riverente cortesia da ogni membro dell’equipaggio che incrociava il suo cammino. Attraversò la hall, arredata con tavolo e sedie in stile vittoriano, pareti in mogano e addirittura un pianoforte, e salì le scalette interne fino a raggiungere il ponte più alto, il quarto.

    Lì trovò Snow, il suo uomo di fiducia, che lo attendeva comodamente seduto su uno dei divanetti impermeabili incassati lungo le sponde del ponte. L’ex Navy SEAL se ne stava spaparanzato con una bionda seduta sulle ginocchia e un bicchiere di buon bourbon in mano, la sua amichetta invece aveva preferito un calice di bollicine francesi.

    Il sole che brillava su Vladivostok non era particolarmente caldo, soprattutto a quell’ora della sera, così oltre agli occhiali scuri i due piccioncini indossavano anche giacconi imbottiti.

    «Ci si diverte e si sbevazza a mie spese, eh?» Esordì Harlequin, accomodandosi sul divanetto della fiancata opposta.

    Snow non gli rispose subito, prima doveva finire di sussurrare qualche frase d’amore all’orecchio della biondina, che lo ascoltava ridacchiando maliziosa.

    «Guarda che la bottiglia è mia.» Si giustificò Snow, quando ebbe terminato di fare il seduttore. «Almeno il bourbon me lo pago da solo, e non è affatto piscio da quattro soldi, fidati.»

    «Caro Snow, mi meravigli. Parlare sporco di fronte a una così avvenente signorina.»

    «Tanto non capisce una parola d’inglese, o di qualunque altra lingua che non sia il francese sciccoso della Sorbonne. L’ho rimorchiata in Martinica, stava nella camera d’hotel a fianco della mia, assieme al fidanzato. Ma dopo una brutta litigata con lui si è di colpo sentita in vena di pazzie, e io, tra un drink e una parolina dolce, le ho proposto una crociera privata a bordo dello yacht superlusso sul quale sarei salpato l’indomani.»

    La ragazza rivolse ad Harlequin un avvenente sorriso, senza mostrare di aver capito nulla di quella spiegazione.

    «Cioè fammi capire, stupido americano abituato a pensare col cazzo invece che con il cervello: sei nel bel mezzo di uno degli incarichi più importanti e vitali che io ti abbia mai assegnato e di colpo decidi di invitare una perfetta sconosciuta sulla mia Ingrid, senza valutare minimamente i rischi che potrebbe comportare la sua presenza nei nostri affari.»

    Snow fece una smorfia a metà fra il divertito e lo scocciato. «Ho un debole per le francesi... È solo una studentella stupida, non ho certo intenzione di metterle un anello al dito e raccontarle i dettagli della mia vita segreta. A proposito, se te lo chiede, la Ingrid è mia.»

    «Questa poi!»

    «Non far finta di incazzarti, Ivan!» Rise Snow. «Lo so che queste storie di sesso e bugie non ti danno fastidio, anzi ti divertono. Almeno finché continuerò a portare a termine con successo i miei incarichi.»

    Harlequin alzò gli occhi al cielo. «Se lo dici tu. A proposito di incarichi, com’è andata stavolta?»

    Snow sussurrò in francese all’orecchio della sua nuova fiamma di andare ad aspettarlo di sotto, mentre lui parlava di lavoro con il suo collega imprenditore. Lei gli diede un ultimo bacio appassionato, raccattò bicchiere e bottiglia di champagne e trotterellò verso la camera padronale dello yacht.

    «È andato tutto liscio come l’olio: Choi ha rispettato la tabella di marcia, si è presentato puntuale all’appuntamento e il suo prelievo dall’Italia è stato un gioco da ragazzi. All’inizio era teso, ancora più di quella volta in cui l’avevo fatto uscire dagli Stati Uniti, ma poi si è calmato... Sai, con tutti questi viaggi, quando ci penso ho come la sensazione di non fare altro che rimbalzare da un angolo del mondo all’altro, come la pallina di un flipper.»

    «Hai visto la nuova casa del nostro fortunato cervellone quattrocchi? Gliel’ha disegnata un mio amico.»

    «Sì, l’ho accompagnato personalmente sulla sua isoletta tropicale. È un sogno, quanto cazzo l’ha pagata?»

    «Choi si è comprato solo la villa e la fuga dalla sfera d’influenza sovietica, l’isola resterà proprietà della Repubblica Bolivariana del Venezuela. E dopo?»

    «Dopo mi sono fatto accompagnare in Martinica ad attendere la Ingrid, com’eravamo d’accordo, e ora eccomi qua. Sia i campioni genetici che l’unità di memoria contenente tutti i dati sui progetti del coreano sono di sotto, nella cassaforte di bordo. È andato tutto bene.» Snow brindò alla conclusione del racconto vuotando con un sorso il bicchiere di bourbon.

    «Sì, come no, tutto bene... Quindi non lo sai ancora.» Harlequin gli rivolse uno dei suoi sorrisi sinistri.

    «Cos’è che non so?»

    «È normale, dato che sei rimasto fuori dal mondo per quasi due settimane...»

    «Ti decidi a parlare, uomo degli indovinelli?»

    «Si tratta di Kasdeya, e del fatto che il nostro Choi deve aver sbagliato a riportare qualche cifra, mentre faceva i conti dei danni che lei avrebbe causato come diversivo alla vostra fuga.»

    «Perché? Cos’è successo?»

    «Oh, nulla di che. Ha vaporizzato i laboratori ed è fuggita.»

    Snow spalancò gli occhi. «Cosa

    «Già, e qualche giorno più tardi ha pure vaporizzato metà del contingente sovietico a Roma, proprio mentre gli uomini del generale Petrosian stavano sostenendo l’attacco finale contro i resistenti italiani.» Harlequin sorrideva, nonostante nel suo racconto non ci fosse molto da ridere.

    «Ma come cazzo... E poi che fine ha fatto?»

    «Scomparsa nel nulla.»

    «Gesù Cristo. Io comunque me lo becco lo stesso il mio compenso?»

    «Ovviamente sì, tu non hai sbagliato di una virgola. Abbiamo ottenuto tutti i dati e i campioni relativi al progetto Kasdeya che ci occorrevano, Choi ha avuto la sua libertà, io sono riuscito finalmente a recidere del tutto il cordone che mi legava a doppio filo con Mosca... Forse ho finito per guadagnarmi qualche altro nemico fra le fila del Politburo, ma la cosa non mi infastidisce più di tanto. Adesso lasciamo che siano i soldatini a vedersela con Kasdeya, noi abbiamo affari molto più importanti a cui dedicarci.»

    «A proposito di affari, ho un regalino per te.» Snow infilò una mano all’interno del giaccone, per poi tirarne fuori un’anonima busta bianca spiegazzata.

    «Adoro i regali.» Scherzò il trafficante d’armi ceceno, estraendo dal taschino un coltello a serramanico con lama damascata, che usò per aprire la busta. «Provenienza della missiva?»

    «Stavamo attraversando il Canale di Panama, aspettando che le chiuse regolassero il livello dell’acqua, quando si è presentato a bordo un funzionario statale o doganale di qualche altro tipo, non ho ben capito.»

    «E tu l’hai fatto salire? Posso capire le compagne di letto, ma come cazzo ti viene in mente di autorizzare un’ispezione doganale su questa nave!»

    Snow mise le mani avanti. «Tranquillo, Ivan, non c’è stata nessuna ispezione. Il mittente di quella busta ha fatto in modo che fosse un doganiere a consegnarmela proprio perché una sua capatina a bordo non avrebbe destato sospetti.»

    «Quindi chiunque l’abbia spedita era a conoscenza del fatto che la Ingrid, con il mio braccio destro a bordo, sarebbe transitata presso Panama, diretta fin qui, proprio quel giorno a quell’ora.»

    «Esatto.»

    «Non mi piace... Chi è il mittente?»

    «Il postino mi ha fatto intendere che si trattasse nientemeno che di Nobody.» Rispose Snow, nominando l’informatore personale del ceceno presso il Pentagono.

    «Interessante, allora questo spiega tutto.»

    Harlequin aprì la busta e si lasciò scivolare il contenuto sul palmo di una mano. Si trattava di una scheda SD.

    Fece segno all’autista di consegnargli la sua valigetta, che una volta aperta rivelò un computer per telecomunicazioni del modello usato da Harlequin e dai suoi più stretti collaboratori.

    Qualunque contenuto multimediale Nobody avesse infilato nella schedina di memoria, sarebbe stato possibile leggerlo soltanto con l’ausilio di uno di quei computer, costruiti artigianalmente in base alle richieste di Harlequin e criptati ai massimi livelli.

    Il ceceno accese il terminale, completò i rigidi controlli di sicurezza e inserì la scheda SD. Dopo pochi istanti comparve a video il programma di telecomunicazioni, ma invece di attivare una chiamata, cominciò a riprodurre una registrazione.

    Il video era stato escluso da Nobody, notoriamente paranoico per quanto riguardava la sicurezza della sua persona, e l’audio era stato alterato in modo che la sua voce divenisse metallica e impersonale.

    «Ivan, registro questo breve messaggio per avvisarti che un satellite dell’NRO ha beccato Sung-Hyo Choi il giorno stesso in cui ha messo piede in territorio venezuelano.»

    «Oh, merda.» Commentò amareggiato Snow, che si era appena vantato di quel lavoretto ben eseguito.

    «Si è trattato di una sfortunata coincidenza, il satellite doveva effettuare un passaggio di controllo per scattare qualche foto a un edificio di recente edificazione, che fonti di Intelligence HUMINT avevano segnalato come possibile laboratorio clandestino. È stata una sorpresa per tutti i tecnici dell’NRO, quando un software automatico di riconoscimento facciale ha beccato in pieno il coreano, ricercato federale ai massimi livelli.»

    «Spero che non abbia riconosciuto anche me.» Continuò a commentare l’ex SEAL.

    «Quando le agenzie hanno avuto la conferma della sua identità, non ci è stato possibile depistare o insabbiare quell’informazione, ormai aveva raggiunto i piani alti del DoD, e quindi della Casa Bianca. Il Presidente ha deciso di intervenire, l’ordine è di uccidere il traditore, e sarà il braccio armato del progetto Genoma a portare a termine l’incarico... Proprio così, ha mandato Delayenne a uccidere il suo stesso creatore.»

    «La ben nota finezza di Elle Knox.» Sogghignò Harlequin.

    «La missione è prevista per la notte del 4 maggio, se pensi che il coreano possa ancora esserci utile in qualche modo ti suggerirei di intervenire... Anche se non sono sicuro che questo mio messaggio possa arrivarti in tempo, o anche che sia possibile sfuggire alle grinfie di Delayenne, una volta che ha ricevuto l’incarico di prendere uno scalpo.»

    La registrazione terminava lì.

    «È per stanotte. Quindi? Tanto lavoro per nulla?» Domandò l’americano.

    «Come ti ho già detto più di una volta, l’incolumità di Choi non è mai stata lo scopo del nostro lavoro. Il nostro obiettivo era mettere le mani sulle sue ricerche, sia quelle compiute per gli americani che quelle per i russi. L’obiettivo è stato raggiunto, e Choi può marcire all’Inferno.»

    «Come vuoi. Sei tu che comandi.»

    «Puoi dirlo forte, Snow. Tuttavia... Non si sa mai quale innovazione tecnologica potrebbe uscire in futuro dalla geniale testolina del rinomato professore, quindi forse vale la pena continuare a essergli amico e tentare di metterlo sul chi vive.»

    Harlequin estrasse un telefono satellitare dalla valigetta, direttamente collegato al computer. Selezionò un codice in memoria e fece partire la chiamata.

    «Nessun segnale.» Commentò dopo una trentina di secondi. «Ho paura che per il nostro cervellone coreano sia già troppo tardi.»

    * * *

    4 maggio 2012, ore 02:59 locali - Isla Grueso, Venezuela

    Il Combat Dagger intento a volare diecimila metri sopra l’isoletta caraibica era dotato di strumentazioni per la guerra elettronica EW, in grado di disturbare le comunicazioni del nemico. Capacità molto utile in caso quest’ultimo tentasse di chiamare i rinforzi, oppure se qualcun altro lo stesse avvertendo di un imminente pericolo.

    Delayenne si era lanciata dal portellone posteriore del cargo da pochi secondi, il suo visore notturno le mostrava un’enorme porzione dell’Oceano Atlantico completamente nera, a parte una serie di puntini luminosi ravvicinati, proprio di fronte a lei: l’isola Grueso, il suo obiettivo di quella notte.

    La tecnica di lancio HALO era pratica comune fra gli operatori delle SF/SOF, e prevedeva un lancio da alta quota con apertura del paracadute da effettuarsi soltanto all’ultimo istante utile, appena prima di sfracellarsi al suolo a più di duecento chilometri orari.

    Delayenne raggiunse la quota di apertura appena un paio di minuti dopo aver saltato. Il suo visore elettronico era in modalità di paracadutismo, le mostrava tutte le indicazioni utili in quel momento: altitudine, correnti atmosferiche, velocità di caduta.

    Il congegno di apertura automatica del paracadute scattò appena ebbe raggiunto i duecento metri, dandole la sensazione di essere

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