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Dove tutti i sogni finiscono
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Dove tutti i sogni finiscono

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About this ebook

Dove tutti i sogni finiscono ed inizia la vita? O dove la vita finisce e hanno inizio i sogni?
Questi i quesiti che ci troveremo ad affrontare seguendo l'avventura di Pietro e Pamela. Attraverso le righe del racconto li accompagneremo in un viaggio fantastico di andata e ritorno da quel luogo che ognuno di noi ha costruito nella propria mente, nella propria fede o nella volontà che nulla finisca per sempre. Attraverso le nostre paure, lì incontreremo i nostri sogni, che dovremo accudire come piccoli bimbi. E insieme ai due personaggi dovremo custodirli, preservarli, farli crescere e combattere per loro fino a cercare di realizzarli con tutta l'energia che loro stessi ci danno. È questa la nostra essenza. Smettere di credere in quei sogni o di inseguirli ci lascerebbe nel dolore e con un pugno di polvere in mano. È in quel momento che tutto, e noi, in realtà finiamo, quello il momento in cui finisce la vita. Pietro e Pamela sapranno lottare contro il reale e l'imponderabile? Sapranno trovare quel filo che unirà i propri sogni per tornare a viverli?

LanguageItaliano
Release dateAug 28, 2014
ISBN9781311503862
Dove tutti i sogni finiscono
Author

Pierluigi di Cosimo

Mi chiamo Pierluigi, e sin da piccolo sono appassionato di tecnologia, numeri, matematica, fisica, giardinaggio, cinema, etc...Da bambino avevo un amico immaginario, PIC, con cui giocavo moltissimo e, dopo aver imparato a scrivere, mi divertivo ad inventare storie, e a scrivere brevi racconti avventurosi e fantastici. Qualche tempo fa ho ripreso l'abitudine di mettere su carta tutto quello che mi passa per la testa, è nato così il mio primo racconto, "I Rotoli dell'Immortalità". Nel frattempo avevo iniziato a scriverne un secondo, "Dove tutti i sogni finiscono", che ho pubblicato da poco. Ora sono alle prese con il terzo "I racconti del Calamaio" e abbozzato un un quarto "I maledetti casi irrisolti di Ely", che potrebbe diventare una serie. Tutto questo tra una ricetta di cucina ed un'altra, sì, perché tra le mie passioni c'è anche quella di cucinare, ed è per questo che scrivo, insieme a mia moglie, anche su un blog dove condivido con gli altri semplici ricette fatte in casa. Se riesco in tutto questo, lo devo soprattutto a mia moglie e ai miei due fantastici figli.

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    Book preview

    Dove tutti i sogni finiscono - Pierluigi di Cosimo

    PROLOGO

    Il gruppo di persone che si andava radunando diventava sempre più numeroso.

    Ormai il centro del cerchio che si era naturalmente formato non si vedeva più, gli ultimi che arrivavano non riuscivano più a vedere cosa succedeva e tentavano invano di alzarsi sulle punte e spingevano quelli davanti a loro chiedendo cosa fosse successo.

    Era tutto un vociare confuso e in pochi si accorsero dell’ambulanza che arrivò a sirene spiegate e che fece stridere le ruote frenando. Tutti volevano solo vedere cosa c’era nel centro della folla.

    I due infermieri, scesi di corsa dal mezzo di soccorso, dovettero farsi largo a spintoni per raggiungere il centro della calca tra le decine di corpi compattati da un unico desiderio quello di vedere cosa stava succedendo.

    Mentre all’esterno del cerchio tutto era spintoni e vociare, all’interno era tutto calma e silenzio. La prima fila aveva formato un cerchio perfetto e, come a difendere quello che avevano davanti, rimanevano impassibili e immobili a fissare quello spettacolo, resistendo con tutta la forza che avevano alla pressione delle cerchie immediatamente dietro.

    L’uomo immobile seduto su quella panchina indossava un impermeabile chiaro e un cappello a falde marrone. Un libro aperto e stretto tra le mani giaceva adagiato sulle gambe e ondeggiava delicatamente le pagine centrali al ritmo della lieve brezza serale, che iniziava a rinfrescare l’aria, sembrava salutare i presenti contraccambiando l’estremo saluto.

    Gli occhi delicatamente chiusi e l’espressione rilassata, quasi sorridente e felice del viso, facevano sembrare quell’uomo ancora vivo, ma vivo non era. Nulla in quell’espressione felice e rilassata nella naturalezza delle pose era morta, eppure quell’uomo non era più lì, era morto. Solo la riga di una lacrima solitaria stonava su quell’espressione di estasi.

    Questa la scena che si presentò agli increduli infermieri. Rimasero anche loro rapiti qualche secondo da quell’immagine così reale nel calore che sprigionava dalla felicità di quel viso e, allo stesso tempo, surreale nella freddezza della morte che avvolgeva il tutto. Ci misero qualche minuto per prendere coraggio, sollevare quel corpo e adagiarlo sulla lettiga. Un bianco telo copriva ora quell’anima, mentre la lettiga, sospinta lentamente, si muoveva portandosi via quell’espressione di felicità che tutti avevano ammirato.

    Il libro, con la copertina rigida e di colore scuro, era ancora stretto in una delle mani, che ora penzolava al lato della lettiga. Il libro cadde, come un’eredità da raccogliere, ma sembrava che nessuno avesse notato quel blocco di pagine manoscritte, che, aperto circa a metà, continuava a sventolare i suoi fogli cercando di attirare l’attenzione. Solo una ragazza poco distante se ne accorse. Si avvicinò, si guardò intorno con aria guardinga e raccolse il libro. Guardò di nuovo intorno per vedere se gli altri si erano accorti di quello che era successo, ma niente, tutti fissavano la lettiga. La ragazza si immerse nella folla, camminando lentamente in direzione opposta a quel corpo esanime e, appena riuscì a uscire dalla confusione, prese coraggio e guardò il libro. Sulla copertina in caratteri color oro ormai lisi solo una lettera, la P, che coincidenza, pensò, "anche il mio nome inizia per P, mi chiamo Pamela. Poi iniziò a sfogliare le pagine ingiallite e consunte dal tempo. In ogni pagina c’era scritto un nome e alcuni avevano accanto quello che sembrava uno scarabocchio. Le prime pagine avevano dei caratteri gotici e sembravano scritti con le penne d’oca bagnate in un calamaio, la cosa fece increspare le bellissime labbra di Pamela in una specie di sorriso, poi, man mano che si andava avanti, lo stile cambiava come lo scorrere del tempo. Tutti i nomi iniziavano con la lettera P, nessun cognome era riportato sul libro. Alcune volte i nomi si ripetevano e, cosa strana, si alternavano. C’erano sempre un nome maschile e poi uno femminile. L’ultimo nome scritto era il suo, incredibile, ma come poteva essere, sicuramente una coincidenza, pensò, e in più era stato scritto di recente, da pochi minuti si potrebbe dire", l’inchiostro sbavò leggermente quando ci passò sopra il dito come per accarezzare quelle lettere. Era scritto sull’ultima pagina. Guardò la pagina precedente, vide il nome che la precedeva, aveva qualcosa di familiare e non aveva quella specie di scarabocchio accanto, mentre accanto al suo nome capeggiava un ghirigoro dall’aria familiare, quasi delle lettere intrecciate insieme a formare una parola. Pamela chiuse il libro, lo strinse al petto continuando a camminare, diede un rapido sguardo dietro di sé e vide che la folla iniziava a disperdersi. Persa nei suoi pensieri non si era neanche accorta che l’ambulanza era già ripartita portando con sé quel corpo.

    Pamela aveva iniziato a camminare velocemente, qualcosa aveva iniziato a turbare i suoi pensieri, qualcosa che lei sapeva importante, ma senza sapere cosa. Qualcosa che stentava a ricordare, solo brevi accenni, che si accendevano e spegnevano come una lampada al neon rotta. Chiuse gli occhi giusto un istante, ma non smise di camminare veloce, camminare la aiutava a pensare, a concentrarsi, poi li riaprì all'improvviso. E, come la luce del sole che entra imponente e prepotente quando si aprono le persiane, così i ricordi fluirono come un torrente in piena nella sua mente.

    E, mentre mille domande avrebbero continuato a tormentare i presenti a quella scena che si allontanavano sconsolati, una persona, che ora stringeva e nascondeva il libro sotto il cappotto, aveva compreso cosa era successo, aveva ricordato tutto e sapeva che doveva sbrigarsi.

    capitolo 1

    quando tutto doveva ancora iniziare…

    Pietro era un uomo comune, magari un po' strano, abitudinario alla follia ma normale. Certo aveva qualche problema con le ragazze, era riuscito a organizzare qualche incontro in passato, ma erano stati tutti dei disastri. E a quarant’anni non avere ancora una ragazza lo aveva chiuso ancora di più. Era schivo, parlava poco, non aveva amici, insomma lo si poteva definire un eremita in mezzo alla civiltà.

    Aveva un buon lavoro e lo avrebbe potuto raggiungere tranquillamente con la macchina, ma tutte le mattine lasciava la sua Alfa al parcheggio di scambio e prendeva i mezzi pubblici. Gli piaceva immergersi nella confusione degli altri esseri umani, era il suo modo personale per rimanere in contatto con la realtà. Appena arrivava sulla banchina della metropolitana, iniziava a osservare tutti. Ormai, dopo diverso tempo, incontrava sempre le stesse persone e avrebbe saputo elencare i particolari di ognuno, sia a livello fisico sia caratteriale. Li aveva divisi in gruppi in base alle loro caratteristiche, poi in sottogruppi, ogni sottogruppo aveva le sue classifiche, fino ad arrivare alla singola persona. Ma si stava stancando di quello che lui considerava un gioco e che l’FBI avrebbe considerato come il profilo di un serial killer, ormai il suo divertimento e la sua curiosità si accendevano solo quando c'era un nuovo passeggero. Sapeva che aveva poco tempo per inquadrarlo e classificarlo. Lasciava fuori dal suo gioco solo i turisti e li tirava dentro solo se era uno di quei giorni particolarmente noiosi in cui tutto sembrava andare storto. Voleva bene a tutti quei personaggi, in fondo erano la sua vita, i suoi compagni di avventure, i suoi amici. Ma c'era una categoria che proprio non sopportava, li aveva classificati come gli isolani, erano quelli che, appena arrivavano sulla banchina, si ficcavano le cuffie negli orecchi e iniziavano a iniettarsi musica direttamente nel cervello per tagliare ogni contatto con gli altri esseri umani e la realtà intorno a loro. Non guardavano mai nessuno, fissavano dritti davanti a loro, anche se quello che avevano davanti era un grigio muro di cemento. E questo solo per paura che qualcuno potesse loro rivolgere la parola. Lui non aveva scelto l'isolamento in cui si trovava, anzi aveva sempre cercato di contrastarlo, ma poi si era rassegnato quando aveva capito che era il mondo che voleva isolarlo e ne aveva sempre sofferto. Sapeva cosa voleva dire essere soli, invisibili, e non capiva chi invece si isolava per scelta, chi decideva di escludersi dal mondo. Non li sopportava, avrebbe voluto avvicinarsi, stappare loro un orecchio e urlare dentro al cono uditivo "sei vivo? E allora viviiii" con tutto il fiato che aveva in corpo, solo per vedere se avessero reagito. Questa scena comunque lo faceva sorridere, si immaginava veramente aggrappato alle orecchie di qualcuno mentre urlava come un pazzo. Sì, perché Pietro, oltre a classificare le persone, si immaginava delle storie con loro, avventure in cui lui era il protagonista e gli altri le comparse, ma sempre in modo controllato.

    I giorni continuavano a passare e così pure i mesi e le stagioni. Sempre la stessa routine, casa, lavoro, casa, palestra, casa. Qualche cena istituzionale con i colleghi di lavoro in cui nei primi cinque minuti tutti facevano finta di parlare con lui, di preoccuparsi dei suoi problemi, poi piano piano tutti si dileguavano, evitandolo come la peste per il resto della festa. Di solito Pietro se ne andava a metà della serata, tanto non se ne sarebbe accorto nessuno.

    Quell’estate faceva caldo, un caldo afoso, e Pietro odiava il caldo, non sopportava i vestiti appiccicati dal sudore e la calca nella metropolitana a volte diventava insopportabile. Su quella tratta l'aria condizionata era considerata ancora un lusso e i vagoni si trasformavano rapidamente in carri bestiame, tanto era il tanfo del sudore appena spremuto dalle ascelle, che si miscelava con il pestifero alito di aglio, cipolla e dentiere non lavate. Ma Pietro si ostinava a prendere la metropolitana, aveva da qualche settimana un nuovo passeggero che lo incuriosiva. A dire il vero era una donna e aveva circa la sua età, forse qualche anno in più. Aveva, come al solito, cercato di piazzarla rapidamente in una delle categorie esistenti, ma niente, la prima mattina fu un fallimento totale. Quando lei scese lanciandogli un breve sguardo, Pietro era ormai rassegnato a perdere quella sfida, sapeva che normalmente i nuovi acquisti erano passeggeri che per un motivo o per un altro erano capitati in quella corsa per una casualità. Invece rimase stupito quando ritrovò il nuovo passeggero anche il giorno dopo e quello dopo ancora. Come tutti i pendolari abitudinari, sceglieva sempre la stessa carrozza e lui faceva di queste abitudini la sua arma per studiarli bene. Eppure, a distanza di qualche settimana di studio, non era ancora riuscito a inquadrarla, ogni volta che pensava di averla sotto controllo, lei cambiava qualcosa e immediatamente la categoria in cui l'aveva piazzata non corrispondeva più. Ormai era diventata un’ossessione, si curava solo di lei, era diventata una sfida, finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva vivo. Tutte le mattine si alzava e aveva già lei in mente, faceva colazione e non poteva smettere di pensare a quella donna misteriosa, anche mentre si faceva la barba, la doccia o si vestiva non riusciva a staccare il pensiero da quel mistero. Quella donna lo ossessionava, la odiava perché non riusciva a classificarla, ma al tempo stesso la amava perché gli aveva ridato la vita, la voglia di vivere, di far parte del mondo. Doveva fare qualcosa, ma cosa? Questa domanda lo tormentava ancora di più di non sapere come classificare la signora in nero, la dark lady come l'aveva soprannominata, dato che tutte le volte che l'aveva vista era sempre vestita di nero da capo a piedi. Vestiti semplici ma curati, gonne sempre lunghe alle caviglie, forse non aveva belle gambe, spalle sempre malignamente leggermente scoperte, come il collo, eccitante e maliziosamente scoperto da corti capelli neri, sistemati in un taglio scalato.

    ***

    Poco fuori dalla città, anche solo di pochi chilometri, l’afa, che si divertiva ad avvolgere con il suo pesante mantello le persone giorno e notte, era tenuta a bada da leggere e fresche brezze. Quella mattina Pamela era felice, si alzò dal letto, indossava come al solito una lunga maglietta di cotone che le arrivava alle ginocchia. Si era alzata con il piede giusto, era felice, ma non sapeva perché, doveva essere una di quelle giornate positive, in cui tutto andava per il verso giusto. Era presto, il sole stava scalando prepotentemente i monti all’orizzonte ed entro pochi minuti avrebbe inondato tutto il paesaggio di un color rosso oro, bagnando ogni cosa di nuova vita. Pamela si avvicinò alle persiane ancora chiuse, fece cigolare il blocco e con una leggera spinta spalancò le imposte. La luce inondò di vita la piccola stanza, ricacciando le ombre fino a farle sparire da ogni angolo. La fresca brezza mattutina si insinuò sotto la maglietta, agguantando con un’impalpabile mano quei seni sodi e rotondi dalla pelle liscia come la seta. Come si era insinuata, l'impalpabile mano scivolò via da quelle perfezioni, carezzando dolcemente i capezzoli, che reagirono immediatamente alla sollecitazione. Pamela si stava godendo quel momento a occhi chiusi, fantasticando sull'essere impalpabile che l'aveva solleticata.

    Pamela, come era solita fare, si lavò il viso con l’acqua fresca per poi fare una colazione salutare quanto sostanziosa. Latte fresco, caffè caldo appena fatto e una crostata con marmellata di albicocche rigorosamente fatta a mano e semplicemente divina. Sì, perché Pamela era bravissima a fare i dolci.

    Nessuno in paese sapeva bene da dove fosse arrivata, di solito, in quei piccoli borghi con le case tutte di pietra, i figli prendono il posto dei padri, non arrivavano spesso stranieri e, quando arrivavano, erano ben visti solo se poi se ne andavano rapidamente. Invece con Pamela tutto era stato diverso. Un giorno arrivò con la corriera, prese una stanza dalla signora Lisa, che aveva un paio di appartamenti e faceva l’affittacamere nel periodo estivo, poi si mise in cerca di un negozietto e fu fortunata. Due anziani senza figli avevano da poco lasciato l’attività e lei riuscì subito ad accaparrarselo. Poi fece i lavori, semplici, voleva lasciare quanto più possibile del vecchio stile, dei vecchi mobili che ne avevano sicuramente viste di belle e di brutte, i vecchi lavandini in pietra scavati a mano nella roccia con i rubinetti di metallo consumato. Insomma tutto le sembrava già bello come era. Iniziò subito a fare quello che le riusciva meglio, i dolci, ma non quelli pieni di creme pasticciati all’inverosimile, ma quelli rustici. Biscotti profumati e tutti diversi, crostate con le marmellate che comprava o barattava dalle vecchiette, come le uova appena raccolte, ciambelloni misti al cioccolato, e tutto rigorosamente fatto a mano e con ingredienti naturali e freschi. Tutti le volevano bene, ormai era diventata una del paese e nessuno pensava più a come fosse arrivata.

    Capitolo 2

    tutto Ebbe inizio in una calda domenica estiva…

    Era una calda Domenica estiva.

    Pietro, come da sua abitudine, si era alzato presto, aveva indossato il suo completo da corsa, gli occhiali da sole ed era uscito per la sua corsa mattutina nel parco il vicino a casa. Aveva quaranta anni, ma un fisico asciutto e muscoloso, pelle abbronzata e liscia, poche rughe di espressione avevano avuto il coraggio di farsi avanti su quel viso ancora giovane, intorno a quegli occhi neri e profondi, dal taglio leggermente orientale. Solo i capelli, sempre cortissimi, raccontavano la sua età, con quel sale e pepe che però non stonava. Raggiungeva sempre il parco verso le otto della mattina, rigorosamente a piedi, attendeva che il guardiano aprisse i cancelli, gli rivolgeva un cordiale cenno di saluto e iniziava la sua solitaria corsa, che lo teneva impegnato per circa quaranta minuti, poi altri venti minuti di esercizi per distendersi e rinforzare qualche muscolo, infine tornava a casa e si concedeva una rapida doccia. Dopo la doccia lo aspettava la sua colazione misurata alla caloria, né una di più né una di meno. Il suo programma domenicale prevedeva poi una passeggiata, la visita all’edicola sempre aperta, che ormai sapeva già il giornale e le riviste che sarebbe passato a prendere, il ritorno a casa per leggere quanto comprato sulla sdraio posta nella veranda. Poi il pranzo, anche quello

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