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Blood Love. Meet
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Ebook240 pages3 hours

Blood Love. Meet

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About this ebook

Se fosse stata una leggenda antica ad aver colpito un giornalista più di cinquant'anni prima, portandolo a ispirare con i suoi articoli la fantasia di tanti scrittori odierni di amori soprannaturali?
E se questa leggenda improvvisamente si avverasse? Due ragazzi, appartenenti a specie in lotta, ma attratti inesorabilmente l’uno da l’altra, si ritroverebbero ad essere testimoni di un destino d’amore che nasce e cresce come raccontato in tanti film e libri.
Le vicende di Mandy Sullivan e Gregory Winchester prendono origine da questo originale presupposto per presentarci il più classico degli incontri/scontri tra predatore e preda nell'eterno gioco dell’amore contrastato da due nature in conflitto.

LanguageItaliano
PublisherMara B. Gori
Release dateDec 27, 2013
ISBN9781310696596
Blood Love. Meet
Author

Mara B. Gori

i'm italian, Fiction Author: Y.A. Urban Fantasy, Paranormal Romance, RomanceIllustratrice e autrice di romanzi urban fantasy, paranormal romance, romance, per adolescenti e giovani adulti.

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    Blood Love. Meet - Mara B. Gori

    Prologo

    Los Angeles, oggi.

    Casa di riposo Sunset Boulevard

    August Virgil

    «Dove scriverai ciò che ti ho rivelato?» Improvvisamente, lo strano tipo con la faccia pallida come un cencio, mi sembrò più spettrale di quello che mi era parso in un primo momento, forse convincerlo a parlare della storia che avevo intercettato fra i deliri, di quel raduno hippie intorno ad uno dei tanti falò di mezzanotte, nell’agosto torrido di quel 1968 sulla spiaggia di L.A. Beach, non era poi un idea così brillante.

    Ma al mio primo incarico nella Misteri&Affini un giornaletto insulso, ma che pagava tanto da permettermi un affitto decente, non potevo fare lo schizzinoso.

    «Su un articolo di Misteri&Affini tutto l’orrore per cinquanta cent!» dissi con tono di scherno, ma l’avevo con me stesso: ero proprio caduto in basso dopo che i miei avevano fatto tanti sacrifici per farmi studiare giornalismo.

    L’uomo rise sguaiatamente mostrando dei denti bianchissimi, scintillanti… e appuntiti. Troppo appuntiti! E io, un ragazzone sul metro e ottanta, uomo fatto, che non era mai stato un codardo, schizzai in piedi e me la diedi a gambe. Di me restò una nuvola di sabbia fine.

    Neanche stessi cercando di vincere i cento metri piani, mi girai solo quando fui arrivato sul molo; piegato in due, ansante, le mani sulle cosce, le braccia tese a reggere il mio peso.

    Quando riuscii di nuovo a respirare normalmente, alzai il viso, la luna piena splendeva rosata nel cielo, bassa sul mare, lo spettacolo era romantico e intenso, eppure, davanti agli occhi avevo solo il biancore innaturale di quelle zanne.

    Rabbrividii nonostante il caldo mentre mi dirigevo verso il mio maggiolone cabrio bianco, l’auto che mi avevano comprato i miei prima che mi trasferissi a L.A. Per farmi un futuro, come dicevano loro.

    E per la prima volta da che ero andato al college, desiderai essere rimasto in Oregon a coltivare granturco, e allevare maiali e galline come mio padre e mio nonno.

    Una vita semplice, schietta, definita, niente ombre, niente inquietudine, niente misteri…

    Non potevo neanche immaginare allora che, poco tempo dopo la pubblicazione di quell’intervista surreale, qualche scrittore avrebbe attinto come spunto al mio articolo, e che, questa storia, a cui solo la paura di quell’attimo mi aveva fatto credere, sarebbe stata reinterpretata più volte da tanti autori in molteplici forme diverse diventando romanzo, film o show televisivo.

    Eppure, adesso che ero un vecchio disincantato, e nessuno, a parte forse qualche ben nascosto risultato di Google, mi dava il merito della prima cronaca della nascita e il dipanarsi di un simile atipico, soprannaturale intreccio amoroso che, aveva fatto, in molteplici riletture vendere tanti libri, quasi non badavo più alla frase lapidaria, a chiusura dell’intervista, detta dall’inquietante tipo di quella notte.

    Una frase, che non avevo mai riportato, e, mi tormentava spesso in passato, quando ancora l’esperienza della vecchiaia non aveva sopito il fascino e la paura del mistero.

    «Questa storia è una profezia molto antica delle Stirpi Della Notte, stupido fragile umano! Anche se pochi di noi ci credono ormai…non si è mai avverata! E forse te l’ho raccontata solo perché anch’io non ci ho mai creduto…l’amore che potete provare è troppo fragile perché sopporti il peso del nostro essere, e la nostra ferocia troppo grande per pensare, di poter amare tanto una preda! Ma che differenza può fare, per voi stolti, una stupida leggenda in più o in meno? Avete sempre fabbricato tante idiozie…stavolta, almeno, la fonte sarà autentica». A questo punto aveva taciuto e sogghignato prima di pormi la domanda sulla pubblicazione, dopo la quale mi aveva spaventato col suo orribile sorriso ferino.

    Certo, quel pazzo terrificante, non aveva sbagliato in fondo, quella storia era stata veramente profetica, ma c’era una differenza: la cronaca dell’incontro, e del sentimento tormentato di quegli amanti, si era avverata in modo diverso, diventando solo pagine di qualche libro di successo, che, reinventavano ogni volta la trama e i personaggi mitologici, prendendo spunto da questa leggenda sussurrata da fumati imbottiti di lsd, e a cui, io stesso, superato l’iniziale brivido di inquietudine, non avevo mai dato alcun credito.

    La verità era molto meno affascinante: per primo all’epoca (forse no, e la mia è sola stupida prosopopea) avevo trascritto e diffuso quelle assurdità, in cui mi ero imbattuto per caso solo per pagarmi le bollette.

    Erano semplicemente, tragiche e romantiche favole, chissà da che mix di delirio e stupefacenti partorite, che però colpivano ancora l’immaginario collettivo ora più di ieri, ispirando romantiche pellicole dark per ragazze adolescenti in cerca di emozioni epiche…

    Chiusi gli occhi, e, come mi accadeva spesso oramai, mi appisolai sulla poltrona, ma prima, un ultimo pensiero molesto, con ardore giovanile, s’insinuò nella mia mente già votata all’oblio pacifico del sonno: Oh…No?!

    "Si narra che lei giungerà dopo una lunga assenza, recando nel cuore del tormento per la sua famiglia, sarà giovane e indifesa di fronte alle armi seduttive del predatore.

    Lui, uomo delle Stirpi conoscitore di menti, non potrà però scoprire i suoi sentimenti.

    L’incontro che li segnerà, avverrà in un luogo scoperto sotto altri occhi: uno scontro di anime fra fuoco e fuoco, speranze e paure, che li renderà isolati ma mai più soli!

    Lui ferina creatura, sarà anch’egli soggiogato dal fascino della sua magnifica preda"

    Rubrica: Cronache del Mistero di August Virgil - Misteri&Affini - Settimanale - Anno 1968

    1 L’incontro

    Fairbanks. Alaska.

    Mandy

    Il sole del tramonto splendeva dietro le mie spalle, aprii il finestrino del Taxi e mi volsi ad annusare quell’aria intrisa di calore.

    Ero sempre vissuta qui, nell’assolata California del sud.

    Finalmente, il calore dell’estate si sarebbe spento.

    Mi stavo trasferendo stabilmente nel rigido Stato che era la mia terra, e di cui, da anni, sentivo una viscerale mancanza.

    Ero felice di tornare, non volevo, potevo, essere sradicata più di quanto non lo fossi già stata da bambina dopo la scomparsa prematura dei miei genitori.

    A questi pensieri, mentre il paesaggio assolato con i suoi vigneti mi sfilava davanti, non potevo fare a meno di sentire una fitta. Era profonda, brutta.

    L’Alaska con i suoi ghiacci perenni e le foreste, era la mia terra origine, l’amavo, e l’avevo rimpianta per troppo tempo. Mia madre, di lontane origini siberiane, era nata nello Yukon, mio padre invece aveva avuto radici Canadesi. Finalmente sarei andata a vivere con mio zio: noto Procuratore Distrettuale, fratello maggiore di papà morto prima che nascessi. Mi adorava e non avrei potuto desiderare tutore migliore, ma ero stanca di assistere impotente alla sua generosità: si era assunto la responsabilità di crescere una nipote di due anni, rinunciando alla fine ad avere figli propri. Quando ne avevo appena cinque, aveva divorziato dalla moglie separata, che non avevo mai neanche conosciuto, e poco dopo era stato trasferito in Alaska. All’epoca, credendo che fosse meglio per la nipotina crescere lontano dal freddo dei brutti ricordi, oltre che dal clima ostile, aveva fatto in modo di lasciarmi in California facendo incessantemente il pendolare per dodici anni. Adesso, finalmente, mi si presentava l’occasione di fare qualcosa per lui, e non me la sarei lasciata sfuggire ricambiandolo in minima parte e sollevandolo da una vita divisa a metà, che, tuttavia, non mi aveva fatto mai pesare.

    Perseguendo quest’obiettivo mi ero imposta, ora che ero praticamente adulta, di rifiutare le sue decisioni, e dopo estenuanti discussioni avevo ottenuto di tornare a vivere vicino a lui.

    L’aeroporto di Fairbanks era freddo, l’aria era gelida, grigia. Rabbrividii pur non volendo.

    Ero arrivata a destinazione, quella sarebbe stata la mia nuova casa, forse un po’ estranea ora, ma solo fino a quando non mi fossi ambientata di nuovo.

    Lo zio Richard mi fissava dal salone degli arrivi, e sorrideva, o meglio, si sforzava di non sorridere…troppo.

    Peccato che adesso rappresentasse anche il mio guardiano.

    Io mi stavo apprestando a entrare in cella. Una cella fredda: quella dell’incertezza.

    Un’altra fitta, amavo la quiete dell’inverno quasi perenne, mi era mancata, ma amavo anche il caotico anonimato delle grandi città che San Francisco era riuscita a farmi apprezzare, e, adesso, mi rendevo conto che l’avrei rivisto poco, o meglio ne avrei visto un pallido riflesso, in quelle gelide e incontaminate terre del nord.

    Ero troppo incerta in quel momento, per pensare alla natura che mi avrebbe circondato come una fortezza rassicurante, e che, negli anni passati in California, avevo rimpianto molto spesso.

    Io e lo zio salimmo nella sua berlina dopo esserci scambiati un abbraccio, uniti da un affetto profondo che la lontananza non scalfiva.

    Quando arrivammo vicini a casa mio malgrado cominciai ad innervosirmi.

    La Statale che si snodava sinuosa, era fiancheggiata da verdi vallate circondate da monti dalle nevi perenni, persino le basse colline erano già imbiancate, le case di legno, dai tetti spioventi come nelle fiabe, erano rade e al massimo di due piani, ampi terreni cintati le circondavano; niente condomini affollati, centri commerciali, autostrade sopraelevate, grattacieli.

    Ero proprio nella foresta dimenticata e provinciale.

    Provinciale, ecco il nocciolo del problema.

    Sinonimo di luogo piccolo e chiuso. Questo mi spaventava, essendomi ormai abituata alla grande città.

    Amavo confondermi con la massa non volevo essere al centro dell’attenzione.

    Qui, sicuramente, ormai mi conoscevano tutti. Immaginavo mio zio lanciato in anni di orgogliose conversazioni: Mia nipote qui-mia nipote là!

    Scossi la testa, stavo esagerando, in fondo questa cittadina universitaria era una delle più popolose dello Stato.

    Dignitoso basso profilo quello era il motto della mia vita, e, sfacciata protagonista, non vi combaciava per niente.

    Questi pensieri molesti mi procurarono un’altra fitta.

    Un altro problema! Troppi in un giorno solo. No, non ci volevo pensare!

    Arrivammo di fronte alla mia vera casa, perché non potevo negare che in fondo solo questa lo fosse davvero. Ci passavo tutte le vacanze ma mi mancava sempre.

    Qui potevo chiudere gli occhi e accorgermi che i miei genitori morti non mi mancavano più così intensamente.

    Altra fitta, decisamente troppe emozioni! Dovevo tenere a bada la mia ipersensibilità o avrei finito per piangere e questo non doveva accadere.

    Non vedevo l’ora di salire in camera mia.

    L’anno precedente la casa era stata ristrutturata, ed io avevo fatto rimodernare l’ambiente con gusto semplice e romantico: toni freddi pastello caratterizzavano pareti e biancheria, mentre il mobilio era di un caldo avorio inframmezzato da dettagli di legno di acero chiaro come il parquet.

    Dalla finestra in lontananza si vedevano i ghiacciai perenni dei monti dell’Alaska. Era la stanza di una giovane adulta. L’ambiente era stato ampliato e aveva anche un nuovo accesso interno al mio bagno personale che si apriva sul pianerottolo.

    Avevo quasi le lacrime agli occhi al pensiero di non dover più abbandonare questa casa e la vita che mi apparteneva nel profondo. Mi voltai imbarazzata verso la finestra, facendo vagare lo sguardo, dai viali curati fino ai boschi lontani alle pendici dei monti che, facevano capolino, come una macchia verde scuro nel grigio del cemento della città che si diradava verso la periferia.

    Volevo parlare, dire almeno un grazie al destino che aveva ricongiunto i pezzi, ma ero sola e avevo un groppo in gola.

    Lo zio, lasciandomi salire in solitudine, mi aveva risparmiato lo sforzo di non scoppiare a piangere di felicità e, tutta la moltitudine di sentimenti contrastanti, che si agitavano in me.

    Fissavo la porta che mi ero chiusa alle spalle e in un certo qual modo ringraziavo che mi avesse lasciato sola con i miei pensieri, in quel primo momento, non volevo preoccuparlo piangendo in sua presenza.

    Ero felicissima di essere tornata ma... non sapevo cosa mi riservasse il futuro.

    Avrei dovuto prendere ciò che veniva, questo era il mio nuovo, vecchio mondo, e speravo di riconquistarlo presto senza sentirmene esclusa.

    Non potevo sapere che qualcuno viveva la stessa incertezza.

    Greg

    Parole, soltanto parole! Sempre le stesse nella mia testa.

    Che odioso tedio!

    Sorrisi all’espressione mentale retrò come me.

    Un giorno come un’altro a lezione di Storia: la materia era interessante, ma dopo parecchi decenni che la studiavo, cominciava a esserlo meno, anche perché si poteva dire che io fossi un pezzettino di essa…

    Chiusi i pensieri dei ragazzi della classe -pettegolezzi fastidiosi- nella mia mente.

    Ergendo una barriera verso quella stupida coscienza giovanile avrei dato un significato a questi momenti interminabili.

    Interminabili!

    Altro sorriso.

    Che parola strana per me.

    La mia percezione del tempo non contemplava l’impazienza. Non avrebbe avuto senso per un essere come me: un Principe immortale con lo scopo in questa esistenza perenne di guidare, unitamente alla famiglia, le mie Genti; ma allo stesso tempo di cercare di sembrare, agli occhi della società umana, una persona normale con i ritmi di un ragazzo di appena diciotto anni.

    In realtà, se fisicamente ne avevo solo uno in più, biologicamente avevo sulle spalle già due secoli di vita.

    Una recita infinita la nostra, che però ci permetteva di vivere rispettando la gente ed evitando di cibarcene.

    Avevamo scelto una via diversa per trascorrere la nostra esistenza e governare il Nostro Regno.

    In questa farsa di vita ordinaria il peggiore e più fastidioso effetto collaterale era dover ricominciare sempre: ciclicamente, ogni quattro o cinque anni, eravamo costretti a cambiare città e inserimento sociale a causa della nostra evidente incapacità di invecchiare, o almeno di farlo solo fino ad un certo punto, anche se, date le nostre responsabilità, dovevamo comunque risiedere nei confini del nostro dominio, ovvero l’Emisfero Nord Occidentale.

    Staccarsi dalle abitudini consolidate per ricominciare in un posto diverso, era uno strappo che nessuno di noi ammetteva apertamente, ma che spesso bruciava come il desiderio di una vita diversa, priva delle oscure responsabilità e del fardello della nostra natura.

    Mi concentrai riaprendo la via ai pensieri maschili altrui, era meglio, almeno distraeva. La mia tendenza al melodramma, tipica ottocentesca, m’infastidiva a volte.

    Feci un ghigno storto indulgente con le mie debolezze.

    Come fa?! Come fa dico io? A farmi battere così il cuore solo sorridendo?

    I pensieri di Finch Roth, un gay del mio stesso corso, mi lasciarono indifferente come al solito.

    Guarda quello stupido come ride da solo! E quella scema di mia sorella se lo mangia pure con gli occhi! Ma che ci troverà poi!

    Quelli di Mark Nevil, un ragazzo superficiale, erano sempre gli stessi.

    Cavolo questa spiegazione è complicata e non avrò tempo di ripassare! Devo riprendere mio fratello Denny a violino...porca miseria! Non voglio prendere un brutto voto!

    Fred, il primo della classe dopo di me, era tra i più maturi.

    Avevo la capacità di leggere il pensiero, ma il mio talento sugli umani era limitato al genere maschile, in forma di lupo invece, ognuno del branco aveva la capacità di sentire la mente dei vari membri, anche se solo io potevo farlo quando eravamo in forma umana, o meglio...vampira.

    Mi annoiai presto però, -accadeva sempre- era un passatempo oltre che indiscreto anche piuttosto fastidioso per la scarsa qualità di contenuti.

    Un formicolio sotto i polpastrelli mi preannunciò che non vedevo l’ora di sfogare questa smania nella voglia di creatività. Nella nostra famiglia eccellevamo nelle arti: un po’ per capacità, un po’ per retaggio, un po’ per sfogare i sentimenti intensi della nostra natura sovrumana.

    Sopirai trattenendo in me la puerile impazienza.

    Domani sarebbe stato un altro giorno veloce in una lentissima eternità.

    Mandy

    Mi svegliai di soprassalto udendo parlare al piano di sotto, dovevo essermi addormentata a causa dello stress e della stanchezza del viaggio, aprii

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