Prima dell'arcobaleno
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Info su questo ebook
Il libro Prima dell’arcobaleno è una confessione commovente, intrecciata da forti emozioni d’amore e di tristezza, di delusione e di una dolorosa storia d’amore. Dal momento in cui ha partorito sua figlia, la vita per questa madre in un certo senso si è fermata. Del tutto dedicata a sua figlia, provando un amore incondizionato, prendendosi cura e adorando sua figlia, la madre sembra avesse messo in secondo piano e trascurato ogni altra relazione, compresa quella con suo marito. Spuntarono dei problemi che tramutarono in conflitti e tutto finì con un divorzio. La madre visse molto drammaticamente questi avvenimenti e siccome ci fu uno stretto legame con la figlia, anche quest’ultima visse tutto ciò in modo molto doloroso. La storia che questa famiglia provò riflette delle emozioni alquanto sconvolgenti che vanno da un estremo all’altro. Dopo la conciliazione dei genitori, la famiglia vive momenti più belli di amore famigliare per poi, dopo l’incidente stradale successo al padre, ricadere nuovamente nell’orrore, afflizione, perdita, impotenza e dolore. Sembra difficile non chiedersi come questi eventi si siano riflettuti nella mente di una bambina curiosa che aveva appena incominciato a vivere e con un comportamento del tutto insolito.
Questo libro racconta un viaggio doloroso che un genitore percorre quando affronta la malattia del proprio bambino; è una storia d’impotenza e di forza allo stesso tempo, una storia di lotta, di cadute e di ricerche, ma anche infine di una crescita personale di una madre che riesce a trovare dentro di se la forza per accettare la vita che le viene data.
Quando leggiamo un libro così drammatico, non possiamo non porci delle domande. Poteva essere diversamente? Si poteva aiutare prima la bambina? Chi e come le poteva venire incontro? Come si è sviluppata la malattia psichica? Sono cruciali i fattori dell’ambiente in cui cresceva o la bambina era geneticamente predisposta verso i problemi di questo genere?
La ricerca contemporanea indica che la maggior parte di disturbi psichici nei bambini si crea con la combinazione di fattori diversi: genetici (la componente ereditaria) e biologici (processi interni nell’organismo), traumi psichici (avvenimenti importanti e stressanti che colpiscono fortemente la persona) e lo stress ambientale (stress quotidiano e tensioni che proviamo durante la vita). Siccome si tratta della combinazione e della dipendenza reciproca tra vari fattori, è difficile capire quali di questi fattori sia cruciale per la formazione della malattia.
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Anteprima del libro
Prima dell'arcobaleno - Nataša Kovaljev-Opatić
Ringraziamenti
Vorrei ringraziare mia figlia, che è entrata nella mia vita mostrandomi che non tutto è come ci sembra. Esistono cose intangibili e invisibili che ci trasformano e ci fanno andare avanti.
Un grazie al caro Alen, che ha lasciato un’impronta profonda nelle nostre vite. Ho conosciuto anche l'altra parte della vita che offre sentimenti più ricchi, facendoci comprendere quali siano i momenti preziosi.
Molte persone vi hanno lasciato traccia regalandoci amorevolmente il loro tempo, l'impegno, la comprensione, il sorriso, incoraggiandoci con il loro prezioso aiuto e comprensione.
In particolare voglio ringraziare la scuola di Ema perché senza il supporto dei docenti e la loro comprensione non saremmo rimaste sulla strada giusta. Un grazie di cuore va inoltre a tutti coloro che hanno lavorato con dedizione riuscendo a spronare la voglia in lei di cominciare a cambiare e di accettare se stessa.
Inoltre ringrazio la carissima pedagogista per tutti i colloqui avuti e per lo sforzo che ha impiegato per il benessere di Ema. Naturalmente, ringrazio anche la Direttrice perché senza di lei non ci saremmo riuscite. Ci ha aiutato ed è sempre stata pronta a venirci incontro perché ci tiene ai bambini in modo particolare. La ringrazio per i colloqui che ha avuto con Ema e per i sorrisi che è riuscita a tirare fuori.
Sono riconoscente a Tanja, che mi ha aiutato a riconoscere i sentimenti che per lungo tempo sono stati seppelliti dentro di me, e che sono riuscita a cambiare in quelli positivi. Questi sentimenti sono cresciuti, si sono rafforzati e infine hanno vinto la negatività incentivata da paure, impotenze, disorientamento e insicurezza.
Grazie di cuore Tanja che mi sei rimasta vicina e per l’aiuto che ha visto la realizzazione di questo libro che servirà ad aiutare gli altri.
Sono grata anche a Lana, Matej, la madrina e il padrino di battesimo di Ema, alla mia carissima testimone di nozze Lia, al bambino del salone che aveva confermato quello che anche Ema sapeva, come pure lui stesso, e per avermi insegnato a ricordare.
Li ringrazio tutti.
Grazie a mia madre per tutti i momenti e per il suo amore incondizionato e disinteressato.
Ringrazio anche il Dipartimento di psichiatria dell’Ospedale di Fiume.
La mia gratitudine va anche alla dottoressa Dora e all’infermiera del Dipartimento di neurologia dell’Ospedale pediatrico di Kantrida che quotidianamente aiutano i nostri bambini.
Vorrei soprattutto ringraziare la signora Karmen Milardović che mi ha aiutato con tutto il cuore a mettere su carta le mie emozioni.
Ringrazio Milan e Tamara, i miei editori, che hanno saputo riconoscere la mia storia e hanno fatto sì che questo libro nascesse affinché la gente si aprisse, senza pudore, riconoscendo la problematica della nostra società e trasformandola per il bene dei nostri figli. Senza il loro aiuto questa storia sarebbe ancor’oggi un tema chiuso. Vi ringrazio di cuore.
PRIMA DELL’ARCOBALENO
E’ già da un po’ di tempo che sto pensando come iniziare a scrivere. Forse la cosa più facile sarebbe incominciare dall’inizio, con la nascita di mia figlia. È stato questo uno dei momenti più belli e più emotivi della mia vita. L’avevo sognata per anni. Capelli biondi, occhietti celesti, saggi. Da quando avevo sedici anni, sapevo che l’avrei chiamata Ema. Un momento tanto atteso. La mia bambina tra le mie braccia. Eravamo felici e ci godevamo ogni giorno. A tre settimane era capace di voltarsi sulla schiena. Si arrabbiava se non ci riusciva subito e s’impegnava tanto per farcela. Non amava dormire, era piena di energia. A tre mesi riusciva a distinguere i giocattoli, sapendo bene quali desiderava. Disponevo davanti a lei un cagnolino, un gattino, un coniglietto, una pallina e un cubetto. Quando le chiedevo dove si trovava il coniglietto, tentava di afferrare il coniglietto. Quella volta pensavo che un bambino cosi piccolo non potesse distinguere un coniglietto da una palla. La mia Ema lo sapeva. Quando le chiedevo: Dov’e’ il cubetto?
e le porgevo la palla, si arrabbiava fino a quando non avvicinavo alle sue manine la palla e il cubetto e lei afferrava il cubetto. A cinque mesi aveva quattro dentini e gattonava. Sviluppava le sue abilità, a sei mesi correva, gattonava e si divertiva. Le scene cambiavano proprio come in un cartone animato. In un attimo si trovava qua, in un altro era già in cucina. Quando aveva compiuto sei mesi e mezzo si alzò in piedi e cominciò a camminare aggrappandosi al tavolo e ad altri mobili più grandi. Stavo lavando i piatti quando Alen mi chiamò per vedere una cosa. Volevo finire di lavare in pace, ma lui insisteva dicendo che Ema stava in piedi e sorrideva. Non ci potevo credere. Pensavo scherzasse e l’avesse alzata in piedi lui. Arrivata nel soggiorno, vidi che stava in piedi veramente. La posai sulla sua coperta lontana dal divano. Lei guardò me e poi il divano. Si precipitò verso il divano e mi guardò come se volesse dirmi: Mamma, ce la faccio, guardami!
Si aggrappò al divano e si alzò in piedi, sorridendo. Rimasi sorpresa perché era troppo piccola. Le notti erano ancora più faticose perché gattonava per tutta la casa, alzandosi e camminando aiutandosi con i mobili. Semplicemente era felice.
Per potermi anch’io riposare, la tenevo nel grembo e le raccontavo storielle. Si divertiva ad ascoltarmi. Spesso avevo l’impressione che volesse di più, ma era imprigionata in quel corpicino. Mi ascoltava con comprensione, come se sapesse ciò che io non sapevo, tentando di farmelo capire. I suoi occhi riflettevano saggezza e maturità. Aveva gli occhi di un vecchio che la sapeva lunga.
Quando andavo a passeggio con la mia amica e il suo bebè, dopo dieci minuti Ema incominciava a girarsi nel passeggino, si liberava dalla cintura, si alzava in piedi e saltellava. L’amica rideva ed io finivo per portarla in braccio mentre con l’altra mano spingevo il passeggino. Non aveva mai pace. Tutto durava poco tempo e lei era già in azione.
Facevo fatica a starle dietro e mi sentivo esausta perché di notte non dormiva, forse un’oretta, qualche volta due. Di giorno si ripeteva la stessa cosa. Quando era sveglia, raramente si divertiva con un giocattolo per più tempo. All’epoca Alen non mi era di grande aiuto e talvolta avevo l’impressione di essere solo io il genitore. Non riusciva a capire che ero stanca e che avevo bisogno anch’io di dormire. Per facilitarmi la giornata ogni tanto la portava ai giardini. Ciò significava molto per me in quel periodo. Lui non la pensava così, ma lei era strafelice quando lui veniva dal lavoro e la portava a passeggiare. Lo adorava ed io stavo male perché vedevo che lui le dedicava poco del suo tempo. In quel periodo il nostro rapporto andava raffreddandosi e io mi sentivo sola. Talvolta, nel letto, lo sentivo estraneo, e ciò mi rattristava. Ema aveva compiuto un anno quando Alen cominciò a lavorare in Italia. Decisi di non andare a vivere con lui perché ciò non era più quello che io volevo. Da sempre desideravo un matrimonio armonioso, una famiglia, amore, comprensione e sostegno. Desideravo una fiaba. L’uomo che mi amava, mi adorava e mi teneva come una goccia d’acqua sul palmo della mano, era svanito nel nulla.
Tornava a casa per il fine settimana e io pensai che la colpa era anche un po’ mia perché il nostro rapporto andava frantumandosi. Non gli dedicavo abbastanza tempo. La mia attenzione era rivolta completamente verso Ema. Era piccola e aveva bisogno di me, ma ne aveva anche lui. Solo che all’epoca ero davvero stanca. Avrei voluto che lui s’includesse di più nella nostra vita quotidiana, mentre lui voleva che io fossi uguale a quella di prima della nascita di Ema. Era qui che non ci si capiva. Io sentivo di non essere compresa e il nostro rapporto si raffreddava sempre di più.
Durante i week-end andavamo d’accordo, parlavamo spesso e mancavamo l’uno all’altra.
Decisi di andare con Ema in Italia e riprovarci. Non volevo crescesse senza il padre. Ero cresciuta senza un papà anch’io e so cosa si prova. Avevo sofferto a lungo per questo fatto. Volevo evitare un destino simile a mia figlia, soprattutto perché lei lo adorava.
Con la nostra venuta in Italia il rapporto era migliorato e posso affermare che in quel periodo eravamo davvero una famiglia felice. Lui lavorava molto, io stavo con Ema che era curiosa, spavalda, un bebè precoce. Nessun pericolo poteva frenare la sua volontà di ottenere ciò che voleva. Era impavida. Si arrampicava dappertutto. In modo particolare amava un armadietto dal quale si precipitava sul letto. Dovevo tenerla d’occhio in continuazione. Tutto era precoce con lei. Come se fosse una bambina nata prima del suo tempo. Amava ballare e cantare. A un anno e mezzo sapeva cantare la canzonetta Ide maca oko tebe (Giro,Giro tondo...). Conosceva a memoria i propri libri . Mentre glieli leggevo, lei girava le pagine raccontando in avanti cosa sarebbe successo. Era molto abile e veloce. Oltre ai libri, amava anche giocare con i lego. Alen era fiero della sua piccola. Prima che compisse due anni avevamo registrato il cartone animato Balto. Mentre lo guardava, era completamente assorta nel film perché adorava il cane Balto. Alla fine si metteva a piangere e voleva vederlo di nuovo. Era capace di raccontarlo nei minimi particolari poiché Balto era il suo film preferito. Di altri cartoni non ne voleva sapere, ma Balto per lei era qualcosa di speciale. Le piacevano anche i film documentari sugli animali, ascoltava storie diverse da quelle che di solito piacevano ai bambini. Quando compravo qualche libricino adatto alla sua età, non era contenta. Ascoltava mentre glielo leggevo e poi diceva: No questo, voglio altro . E cosi andavamo in libreria. Devo ammettere che sceglieva lei i libri e ne era entusiasta. Solo che non erano libri per bambini piccoli.
Avevamo un uccellino immaginario che mi raccontava una storia per la buona notte. Prima di coricarsi Ema mi chiedeva sempre: Quale storia ti ha portato oggi l’uccellino? Così le raccontavo delle storie inventate sugli animali, storielle spiritose, divertenti, ma ognuna con un messaggio.
Di notte continuava a non dormire. Le bastavano un paio di orette. Cosa non avrei dato per dormire tutta la notte senza essere svegliata...Ero davvero stanca, e il mio pesciolino era pronto per le nuove conquiste. Allora mi raccontava i suoi sogni. Aveva dei sogni bellissimi e sapeva descriverli bene. Eccone uno dei miei preferiti:
Mi trovavo in un bosco. Avevo sentito dell’acqua e un uccellino grande mi ci portò vicino. Accanto ai miei piedini c’era della gente piccola e allegra. Ti chiamavo, ma non ti trovavo. Volevo venissi con me. Tu sei la mia mamma che si prende cura di me. Un altro uccellino grande arrivò e mi sorresse. Volavo fino al ruscello. Lì c’erano tanti, tantissimi animali e tanti uccellini.
Siamo arrivati e io mi sono seduta sul sedere. Avevo il pannolino. Gli uccellini mi tolsero il pannolino. Dall’acqua era uscita una signora bella e cara, mi prese e cominciò a giocare con me.
I suoi sogni erano speciali. Il mio uccellino immaginario era nulla in confronto alle storie di Ema. Parlava di gnomi, fate, angeli. Più l’ascoltavo e più mi sembrava che non ero all’altezza dei suoi racconti. Io le raccontavo storielle per bambini, mentre lei mi raccontava delle fiabe fantastiche. Oggi me ne rendo conto, ma quella volta facevo fatica a capire. Non conoscevo questo mondo fantastico delle fate. L’appoggiavo e l’ascoltavo con attenzione e a lei piaceva perché sentiva che le credevo. Sembrava volesse che io mi ricordassi. Purtroppo, avevo dimenticato. Certe volte, quando soffrivo di mal di testa, o quando provavo dolore alla schiena, lei sembrava che lo sapesse. Posava la manina sulla mia testa. Mi guardava con i suoi occhietti vispi e non diceva una parola. Dopo un paio di minuti sorrideva e continuava a giocare o a saltellare intorno. E io il male non lo sentivo più. Lo trovavo molto strano. La mia bambina faceva scomparire il dolore. Non aveva nulla a che fare con la ragione. E lei non faceva altro che sorridere. Era davvero unica e diversa.
Ema, però, aveva anche un altro lato. Era testarda e voleva sempre averla vinta, altrimenti si metteva a urlare. Aveva una voce penetrante e profonda. Voleva sempre essere la prima in tutto.