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Beautiful Face
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Beautiful Face

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About this ebook

Nuova edizione rivista, con paragrafi inediti e nuovo design.
Sinossi:
Si può amare due persone? E se avessero lo stesso volto?
Una imprevedibile, scoppiettante e serrata storia d'amore piena di colpi di scena per questo Young Adult romance.
Per Samantha, sedicenne alle prese con i primi sentimenti forti, non esistono mezze misure in amore. Se ama non si divide. Ma il destino le gioca un tiro mancino quando sia il suo amico di sempre (Steve) che la sua magnifica ossessione(Tony) le dichiarano di amarla. E lei cede e bacia entrambi. Sconvolta dal suo comportamento egoista scappa e scaccia Tony, lasciando speranze solo a Steve. Ma la Nera Signora dietro l'angolo le strappa tutti e due i ragazzi, prima che possa fare chiarezza in se, e lei ne è talmente disperata che li vuole seguire. Un misterioso giovane la salverà in tempo. Ma perchè costui ha il volto di Tony? E gli occhi e la voce di Steve? E soprattutto, perchè la detesta così tanto? Raccontato direttamente dai protagonisti, tutto questo è Beautiful Face: dove niente è come sembra!

LanguageItaliano
PublisherMara B. Gori
Release dateNov 23, 2012
ISBN9781301592890
Beautiful Face
Author

Mara B. Gori

i'm italian, Fiction Author: Y.A. Urban Fantasy, Paranormal Romance, RomanceIllustratrice e autrice di romanzi urban fantasy, paranormal romance, romance, per adolescenti e giovani adulti.

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    Beautiful Face - Mara B. Gori

    Samantha

    Si poteva impazzire nello spazio di un secondo? Il tuo mondo, tutto ciò che conoscevi, o credevi di sapere, poteva esplodere e diventare qualcos’altro? E tutto, tutto questo, poteva accadere solo perché la Signora Casper era malata e mi ero ritrovata ad aiutare in un polveroso archivio al posto suo?

    La risposta a queste domande era una sola: ed era affermativa.

    La gridava quel breve testo dattiloscritto che riempiva i campi di un modulo anonimo e simile a molti altri. Mi era capitato in mano per caso, sfuggito al fascicolo di appartenenza per incastrarsi nel cassetto dello schedario che, a causa sua, stentava a chiudersi perfettamente.

    Che strano modo di giocare aveva il destino mi dissi amaramente, ripensando alla solerte -quanto acida- assistente segretaria che mi aveva ordinato di porre rimedio a quel noioso inconveniente.

    Quel pezzo di carta spiegazzato, in un lampo era divenuto la fonte della mia pazzia, perché portava con se una verità sconvolgente che mi avrebbe cambiata per sempre.

    Mentre, con l’ultimo angolo della mente rimasto razionale, tentavo di raccontarmi tutto ciò, il mio sguardo traballava sulle parole assurde che spiccavano fra le pieghe del modulo come fossero state scritte col rosso del sangue: Edgar Carlton: nome di nascita Steven Moore.

    1 Estate Calda

    Steven

    (Winter Harbor, Maine)

    Quest’anno le previsioni dicevano che sarebbe stata un estate più secca e calda del solito, ma a Sand Cove, ai damerini impettiti del canale meteo, pochi davano credito.

    Erano i stessi che, qualche volta, prevedevano intere settimane di sole in inverno e, sulle coste del Maine, questa è una panzana bella e buona.

    Come sempre, il primo di agosto, me ne stavo seduto sul vecchio dondolo del portico aspettando il suo arrivo.

    Come sempre l’umidità mi faceva incollare la t-shirt al corpo.

    Spostai il naso in giù e mi osservai: tanto per essere certo di non avere l’aspetto disastroso che sospettavo.

    Notando il mio respiro leggermente ansante, non potei far a meno di chiedermi come diavolo avevo fatto in un solo inverno a diventare tanto imponente rispetto al ragazzetto smilzo che ero sempre stato.

    Non facevo palestra. Proprio no, anche perché, nessun attrezzo avrebbe potuto farmi faticare tanto quanto aiutare un padre cieco a condurre una fattoria. E poi mi bastava lo sport a scuola che era già abbastanza noioso.

    Sogghignai, con un colpo secco impressi un moto regolare al dondolo che oscillò scricchiolando lasciando correre i pensieri sul motivo della mia attesa.

    Di solito Samy, per venire da Ted a passare le vacanze, prendeva sempre il volo che atterrava a Bar Harbor la mattina del primo di agosto, e, sempre, alle quindici in punto di quello stesso giorno, l’uomo veniva a salutare mio padre con la figlia; un abitudine presa da quando si era separato dalla moglie. Io e Samantha all’epoca eravamo due bambini abbastanza soli: io soffrivo per la morte di mia madre, lei per il divorzio dei suoi, ed era stato inevitabile giocare facendo squadra dal primo momento.

    In inverno spesso mi mancava la mia sorellona.

    La chiamavo così perché, lei si ostinava, a far pesare che aveva quasi un anno di più.

    Era sempre molto protettiva con me: si preoccupava della mia irruenza, della mia allergia ai legami e alla serietà.

    Per carattere amavo sdrammatizzare la vita: questa era già abbastanza pesante, non aveva bisogno che un inutile pessimismo la rendesse peggiore. Mi piaceva affrontare il mio destino con un sorriso sfrontato.

    La mia amica era diversa, troppo sensibile, lei ponderava ogni sua mossa con ragionamenti estenuanti, questo per impedirsi di soffrire nel caso di errore.

    Il controllo era la sua droga e sapevo perché: aveva già sopportato troppo dopo la fine dell’unione famigliare.

    Il rumore degli pneumatici mi fece alzare lo sguardo strappandomi alle mie riflessioni: la jeep della forestale di Winter Harbor avanzava dal viale d’accesso verso lo spiazzo davanti alla fattoria.

    La polvere bianca della ghiaia baluginava sollevandosi nella calura del primo pomeriggio.

    Il fuoristrada si arrestò nel posteggio davanti all’ingresso di casa.

    Theodor Lee scese immediatamente, mentre una frettolosa Sam armeggiava per liberarsi dalla cintura.

    Un sorriso m’increspò le labbra.

    Sempre la solita Samy.

    Quando lei, finalmente aprì lo sportello e scese, mi dava le spalle ed era controsole, dovetti proteggermi gli occhi per vederla. Improvvisamente si voltò, e, io capii, che quest’estate sarebbe stata veramente troppo calda, e non perché il canale meteo per una volta ci aveva azzeccato, ma perché il mio corpo improvvisamente andava a fuoco insieme al mio cuore: senbrava che un sole si fosse formato dentro di me e stesse cercando di dispiegare i suoi raggi in ogni mia vena.

    Steve ma che diavolo ti prende?

    Sapevo la risposta ma non era certo il momento di darmela, dovevo calmarmi, e andare ad abbracciare la mia amica. La mia Samy. La ragazza adulta e bellissima che non riconoscevo; sbocciata come uno dei quei fiori che ogni tanto punteggiavano senza preavviso i campi della fattoria.

    L’attrazione, provata a quello sguardo, mi disse la verità che non mi ero mai confessato: amavo la mia migliore amica da sempre.

    La mia dolce, buffa Samantha, che adesso era anche un colpo di fulmine che mi accendeva il fuoco dentro.

    Scossi la testa cercando di schiarirmi le idee, dandomi un contegno nell’alzarmi dal dondolo.

    Scesi esitante i due gradini del portico, e poi, per un lungo momento, il mio mondo implose in mille colori, perché lei aveva fatto in una corsa i pochi metri che ci separavano buttandomi le braccia al collo per salutarmi; non accorgendosi che, ormai, stavo inesorabilmente esplodendo per creare il mio personale sistema solare; mi resi conto che malgrado la lava che mi bruciava, non ero una stella. No, ero un pianeta che avrebbe per sempre gravitato intorno a lei.

    «Ciao Steve! Mi sei mancato!».

    Ritrovai -non so come- la parola mentre impazzivo tentando di non stringerla troppo.

    Mi scostai un poco fissando i suoi occhi di un caldo grigio. Ci annegai.

    «Ciao Sam... adesso sei qui!», non ti lascerò più andare lontano dal corpo e dal cuore.

    E poi le sue parole spensero il sole.

    «Steve! Ho un sacco di cose da raccontarti...credo di essermi innamorata!».

    Dietro di noi, Ted, cogliendo il suo bisbiglio, sbuffò irritato.

    Io invece, ripresomi, non so come, dallo shock momentaneo che mi aveva provocato, ero furioso come non mai. Le mani appoggiate sulla sua schiena tremarono per la rabbia. No! Non mi sarei arreso. Non sapevo chi fosse, ma avrebbe dimenticato presto quel misero fantasma.

    Io. Ero. Da sempre. Perfetto per lei.

    Samantha

    (Poco dopo)

    «Sam! Cercare di assomigliare a sua sorella, non mi sembra una gran tattica! Specie se mi dici che è una tipa tanto sexy!».

    Steven mi rispose stizzito, sbuffando e voltandomi le spalle; sembrava che stesse per scoppiare alla stregua di un bollitore lasciato troppo sulla fiamma.

    Non lo riconoscevo. Solitamente non perdeva mai il sorriso e potevo contare sulle sue battute che sdrammatizzavano le mie tragedie mentali. Era il mio opposto e mi completava: rendeva il mio carattere incline al pessimismo meno pesante anche per me stessa.

    Cercai di mediare, non mi piaceva l’espressione con cui mi aveva dato repentinamente la schiena.

    Mi avvicinai di un passo, poggiando il palmo aperto nel solco sotto le scapole che si intravedeva attraverso la t-shirt che portava.

    Era solo un gesto gentile per calmarlo, eppure, per la prima volta dopo dieci anni che passavo tutte le estati con lui, sfiorarlo con una carezza affettuosa mi rese nervosa, quasi imbarazzata.

    Potevo sentire i suoi muscoli guizzare a quel tocco, e, mi resi conto, -più inconsciamente che altro- che il mio compagno di giochi era cresciuto, e, io con lui.

    Ritrassi la mano, come scottata, mentre insistenti brividi nascevano da dentro il mio ventre. Che diavolo mi succedeva? Una sensazione di imbarazzo simile l’avevo provata solo per Edgar Anthony Somerset: l’oggetto della nostra conversazione. Ma forse, con lui, era meno sorprendente provare qualcosa di simile: il mio amore segreto per il mio compagno di corso lo consideravo quasi un’infatuazione ossessiva, come quella per un divo. Era irraggiungibile per me: insignificante secchiona la cui attività principe era cercare di confondersi con la tappezzeria per riuscire a digerire le ore scolastiche -o meglio- le interazioni sociali con gli altri studenti.

    E, il difficile dialogo di questo momento, con il mio confidente preferito -diciamo pure l’unico e il solo, data la mia ritrosia a parlare con chiunque- era per spiegargli che, malgrado sapessi fosse una completa pazzia, volevo, dovevo, cercare di interessare, quello che era, e restava, il più bel ragazzo della Texas Sunset High School, di cui mi ero irrimediabilmente innamorata.

    Innamorata? Ma Sam, tu sai cos’è l’amore? Il pensiero insolente era entrato in me, come un fulmine a ciel sereno, strappandomi alle riflessioni mentre ancora fissavo le possenti spalle di Steven.

    Ma da quando è così muscoloso?

    Avvampai, e i brividi nello stomaco divennero mostri che me lo rosicchiavano senza pietà.

    Lui si ostinava ancora a non guardarmi. Scossi la testa ed esclamai la mia protesta all’indirizzo della sua nuca, rinunciando a farlo voltare per non rischiare di provare di nuovo quella strana sensazione.

    «E’ proprio questa l’idea zuccone! Io sono troppo topo di biblioteca e...» Ma non mi fece proseguire, si girò di scatto afferrandomi una mano, per poi, farsela scivolare fra le dita, e, con un espressione a metà fra l’iroso e il triste, mi apostrofò: «E... non continuare! Dacci un taglio Sam! Fine della modalità confidente!» Detto ciò, mimando, ironicamente con le dita, virgolette inesistenti, si allontanò di qualche passo finendo per sedersi su un tronco spiaggiato guardando il mare.

    Eravamo a Sand Cove. L’avevo trascinato alla spiaggia appena ero arrivata alla fattoria.

    Per tutte le ore di volo da Dallas non avevo fatto altro che pensare a Steven, a come avrei potuto esporgli i fatti.

    Appena l’avevo visto, aspettarmi sul portico come tutte le estati, ero corsa ad abbracciarlo, e quasi non lo riconoscevo: era più alto e longilineo. Ma, lì per lì, non mi ero accorta di quanto fosse anche ben piazzato.

    Lui mi aveva fissato con quei suoi occhi calmi, in cui mi ero subito specchiata, trovando il coraggio di dare corpo e voce ai miei dubbi sentimentali.

    Ero con Steven: la mia famiglia, il porto sicuro, il faro che vedi nel buio delle acque nere e minacciose in cui navighi e ti dice che sei tornato a casa, dandoti sollievo e speranza.

    Ma, presa com’ero da me stessa e dai miei drammi, solo adesso -notando le sue labbra indurirsi pronunciando quella frase di chiusura totale- mi resi conto che il mio fratello mancato in un inverno era diventato un ragazzo estremamente affascinante.

    Sorpresa da questa repentina consapevolezza, rimasi a fissarlo a bocca aperta come un pesce idiota mentre poggiava i gomiti sulle cosce, il mento alle mani e scrutava l’orizzonte dove cielo e mare si congiungevano.

    Iniziai senza rendermene conto ad indagarlo: i tratti decisi e il naso leggermente aquilino, davano carattere al suo volto espressivo, notai, improvvisamente, che i suoi occhi erano grandi come quelli che popolavano le mie ultime notti. Ma quelli di Anthony erano verdi: giada chiara che mi rapiva. Mentre quelli di Steve invece erano caldi come il miele che suo padre Ciack usava per dolcificare il caffè. Mi avvolgevano come una coltre dal tepore invitante.

    Battei le

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