
Tiburcio ferma il camioncino di fronte alla stazione di Munia solo pochi istanti prima che il sole inizi il suo percorso abituale. Quando le luci del veicolo si spengono, l’oscurità della notte reclama il suo ruolo e tinge ogni cosa di nero. Il marito di Dolores si volta verso il sedile accanto al suo e lì ecco Hipolito, lo sguardo perso, la bocca serrata e lo stesso gesto malinconico che ha mantenuto da quando hanno lasciato Puente Viejo. Nemmeno ora che hanno raggiunto la destinazione accenna a muoversi.
«Siamo arrivati» dice il forzuto, sottolineando l’evidenza.
«Siamo arrivati» ripete Hipolito in maniera automatica. Tiburcio conosce bene il comportamento del figlio di sua moglie: ripetere la frase appena sentita è una strategia per guadagnare tempo e riprendere il filo della conversazione. Così può tornare dal mare del ricordo, dove cerca e cerca ogni più piccolo segno dei momenti felici trascorsi con Gracia, memorie in cui il suo fantasma continua a vivere nello specchio della memoria.
«Questo viaggio mi preoccupa un po’» ammette Tiburcio, «per non parlare di tua madre. Sicuramente si starà rigirando nel letto senza poter chiudere occhio, temendo quanto potrebbe accadere».
«Alicia Urrutia e Tomas de los Visos hanno spianato il terreno perché la nostra gestione delle cose sia tranquilla: il futuro del villaggio è quasi garantito. Quello che devo affrontare sono solo procedure burocratiche che non dovrebbero comportare problemi».

«Chi ci preoccupa sei tu» risponde Tiburcio. «Sei pieno di nostalgia e il tempo non sta aiutando a riempire le ferite. Sembra anzi che tutto vada peggiorando». Hipolito sospira. Sembra tanto triste