Cannibalismo, l’ultimo TABÙ
«Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi»
(Michel de Montaigne)
Secondo il medico greco Galeno (129-201 dopo Cristo), alcuni albergatori romani del suo tempo servivano carne umana spacciandola per carne di maiale. Una diceria (e probabilmente qualcosa di più, nella violenta realtà dell’epoca) che nel tempo si sarebbe a lungo perpetuata, soprattutto nel contesto di gravi crisi o carestie, fino ai giorni nostri. Proprio in queste pagine avevamo raccontato la vicenda di Karl Denke (Mistero Magazine numero 73), diabolico serial killer nella Germania pre-hitleriana capace di “commercializzare” le sue vittime sotto forma di carne in salamoia, spacciandola per prodotto di origine suina. Poche storie: la grave recessione economica di allora aveva eliminato le carni bianche e rosse dai banchi dei mercati, e quel che giungeva dal mercato nero (nel caso di Denke, tra l’altro, a ottimi prezzi) veniva acquistato senza troppe domande.
Si tratta di una questione di omologazione culturale: il cannibalismo è anzitutto un tabù morale dei tempi mo derni, una barriera tuttavia sempre in grado di sgretolarsi davanti all’impossibilità di nutrirsi per sopravvivere. Ce lo testimoniano vicende come quella dei sopravvissuti delle Ande o come i naufraghi della baleniera Essex (un fatto avvenuto nel 1820 che tra l’altro ispirò Melville nella stesura del romanzo Moby Dick).
Partendo da una dieta di tipo vegetariano, ma aggiungendo man mano il consumo di carne e proteine in grado di fornire la forza e l’energia necessarie per la caccia, l’agricoltura e la guerra, l’uomo si è elevato a principe dei carnivori. In una impressionante scena del film (1981), per il quale il regista Jean-Jacques Annaud si era avvalso della consulenza dei maggiori esperti di storia e antropologia, due Cro-Magnon venivano catturati da una tribù di Neanderthal per essere utilizzati come cibo vivo, da consumare un pezzo alla volta. Ma non crediate che tali costumanze siano confinate all’era della clava
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