Gli SCHELETRI di ZEROCALCARE

i sono quegli amici che vedi poco. Quegli amici con cui riesci a organizzare di rado qualcosa, ma che quando incontri per caso e ci finisci al bancone di un pub con una pinta di birra in mano o un bicchiere di vino davanti vorresti avere il potere di fermare il tempo. O almeno di dilatarlo un pochino. Con i fumetti di Zerocalcare mi accade più o meno la stessa cosa perché, come i buoni amici, hanno il potere di farti ridere, di farti riflettere e vincitore di molteplici premi, c’è da dire che già solo questi sarebbero ottimi biglietti da visita per comprare a occhi chiusi il nuovo lavoro, edito sempre da Bao lo scorso ottobre, dal titolo . Come sempre, un titolo evocativo che porta dietro di sé ombre e segreti di un passato che si fonde con il presente dell’autore. Il protagonista di è lo Zero diciottenne nel 2000 e, nella seconda parte della storia, quello adulto del periodo immediatamente successivo al primo lockdown. Zero diciottenne, invece di andare all’università come fa credere a sua madre, ogni mattina prende la metro B di Roma dal capolinea di Rebibbia e ci trascorre dentro la sua giornata in un andirivieni di fermate, pendolari e una costante fuga dal mondo e dalle responsabilità. Perché sua madre vorrebbe un figlio laureato e Zero non vorrebbe mai deludere sua madre. È proprio in metro che lo Zero diciottenne incontra il quindicenne Arloc con cui condivide le stesse ansie e paure. Quello tra Zero e Arloc è un incontro destinato a rompere il buffo quotidiano di entrambi.
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