Cerith Wyn Evans in conversazione con Cornelia Lauf a thirst for fluidity, for a trans position — can art be a form of cultural diplomacy?

Cornelia Lauf: Il progetto è stato realizzato per l’Italia, un paese in cui hai lavorato spesso. La mostra all’Hangar Bicocca, intitolata ….The Illuminated Gas si riferisce al Grande Vetro dell’artista francese Marcel Duchamp, alle strutture in neon del pittore italiano Lucio Fontana e alle palme dell’artista belga Marcel Broodthaers. Contemporaneamente, la mostra ha una durezza propriamente britannica, così come il lirismo di una produzione gallese. In sintesi: uno spettacolo tutto europeo che, allo stesso tempo, non sarebbe stato possibile senza le scelte mediatiche proprie degli artisti americani del secolo scorso – come il neon o la scala di una scultura mobile di Alexander Calder. Cosa ne pensi delle nazioni e delle geografie in questa fase del Ventunesimo secolo, e del ruolo dell’arte come forma di diplomazia culturale?
Cerith Wyn Evans: Il nostro è un momento di iper-capitalismo globale, in cui le identità sono state ridotte e distillate e abbiamo a che fare con un’ecologia delle materie prime. È difficile dirlo apertamente, e lo dirò con cautela, ma penso che dobbiamo entrare nel concetto di ‘resistenza’. Ciò significa che le narrazioni tradizionali dalla prospettiva classica, o di prodezza tecnologica, devono essere sostituite. Dobbiamo renderci conto che siamo in un’epoca della realizzazione della ‘Società dello spettacolo’ di Guy Debord. L’arte è una possibile forma di resistenza, un modo di mettere in prospettiva una serie di codici, di
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