UNITED RED ARMY, patto di sangue

Il 1968 dei giapponesi non appare per nulla vissuto da sprovveduti o da ingenui come accade in Occidente: anche se confrontato con Berkeley o Parigi, il livello culturale nipponico è decisamente più alto. Conoscenze come quelle di de Sade o Freud, di Brecht o Mao, per fare qualche nome, sono ampiamente scontate nel Paese del Sol Levante. Si può addirittura arrivare ad affermare che la giovane intellighentsia nipponica all’epoca avesse già tagliato traguardi, come l’indagine sull’eros e sul desiderio, che da noi si affermeranno solo molto più tardi. Nata precocemente sulla scorta di un forte antiamericanismo (appoggiato invece ufficialmente dal governo), quella di cui stiamo parlando è una fuga in avanti che si lascia tuttavia alle spalle – e irreparabilmente – le masse. La classe intellettuale e militante, per quanto coltissima, per quanto vera e propria avanguardia politico-culturale, dimenticò di far avanzare alle proprie spalle tutto il resto dell’esercito. La sua sterilità, il suo velleitarismo piccolo-borghese è dimostrato proprio da una simile gigantesca dimenticanza. Dietro essa c’è il vuoto: 200, 300 mila persone e poi il nulla.
E fra queste 200, 300 mila persone c’erano anche i 29 membri che componevano la sparuta Armata Rossa Unita giapponese, un’organizzazione terroristica fondata il 15 luglio 1971, che univa la
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