Il faut être absolument moderne
Vittorio Gregotti (1927-2020)
, anche solo per sommi capi, l’opera di Vittorio Gregotti, morto il 15 marzo per le complicanze del Covid-19. Protagonista dell’architettura del secondo Novecento, ha iniziato la sua carriera in modo folgorante, lavorando per Auguste Perret e conoscendo Le Corbusier, Gropius. Nel 1964 cura con Umberto Eco la XIII Triennale di Milano. Nel 1966 esce il suo libro fondamentale, e inizia un crescendo rossiniano: vince il concorso per lo Zen a Palermo (1969) e per l’Università della Calabria (1973), due progetti controversi, in contesti difficilissimi. Nel 1974 fonda Gregotti Associati dove realizza piani regolatori, progetti di riqualificazione, allestimenti museali, grafica editoriale e aziendale, design. Nel 1979 è direttore di e, dal 1982, di : la seconda ottiene l’egemonia culturale dell’architettura italiana degli anni Ottanta e Novanta, con i docenti IUAV (Bernardo Secchi, Manfredo Tafuri, tra gli altri) a giocare un ruolo di primo piano. Gli stadi di Barcellona (1985) e Genova (1986) sono fra i più felici dello studio. Il suo ruolo centrale si è però spesso tramutato in eccesso di protagonismo. È difficile dunque considerare Vittorio Gregotti un maestro perché non ci ha lasciato allievi del suo livello: resta, invece, un modello di architetto di rango elevatissimo, fedele al motto di Rimbaud:
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