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Rivista di Studi Utopici n.

1 aprile 2006

Giuseppe Mazzini. Il progetto della «Giovine Europa»


di Mario Schiattone

1. Aspetti utopici del progetto

La Giovine Europa è stata concepita da Mazzini come momento di


emancipazione delle masse dallo stato di sudditanza ai regimi costituiti, per la
conquista dell’indipendenza e della cittadinanza fondata sul principio universale
della libertà. Indipendenza implica anche il pieno diritto alla cittadinanza che, di
fronte a regimi autoritari, può essere conquistata solo con la cospirazione,
l’insurrezione e la rivoluzione. Proprio la rivoluzione attribuisce a tutti i cittadini il
diritto e la dignità di soggetto politico1.
La cittadinanza è universalmente riconosciuta nella unità di un popolo,
nell’unità politica, nell’unica costituzione, nella comune tradizione. Pur
riconoscendo agli Italiani profonde diversità nei costumi, nelle lingue, nelle
passioni, Mazzini riconosce nella nazione l’unica possibilità di armonizzazione
delle diversità. Perciò, per Mazzini, la nazione è principio politico e morale, è il
fondamento della solidarietà e della fratellanza tra i cittadini, che è poi il
presupposto della solidarietà e della fratellanza tra le nazioni libere.
La cittadinanza è di segno universale, come sancito dalla Rivoluzione francese,
per il fatto che i popoli, mentre si distinguono nell’assetto geopolitico per
tradizioni, linguaggi, costumi, vicendevolmente si riconoscono come cittadini di
nazioni eguali, dello stesso peso politico ed etico; ma, secondo Mazzini, questo
principio si disperde, poi, in una congerie di contraddizioni politiche, tra cui il
perpetuarsi della stratificazione sociale e la conquista del potere da parte della
classe emergente.
La cittadinanza ha, come fondamento etico, l’uguaglianza e la fratellanza tra
gli uomini e tra i popoli, per cui il persistere della disuguaglianza determina un
divario etico-sociale tra cittadino e cittadino; e ha anche conseguenze politiche
sulla realizzazione della democrazia. Pertanto Mazzini vuole che la cittadinanza sia
una conquista definitiva nell’uguaglianza, per cui tutti gli uomini sono tenuti a
realizzare questa condizione che, anche dal punto di vista politico, aggiunge dignità
alla natura d’uomo, alla sua capacità razionale2.

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Rousseau e Proudhon attribuiscono alla disuguaglianza una matrice borghese,


nel senso che è il possesso esclusivo, la proprietà privata, a segnare la differenza di
condizione dei cittadini. Per Mazzini la cittadinanza si fonda, in primo luogo, sul
principio di emancipazione popolare, determinata dalla cultura e dall’educazione.
Alla base di tutte queste accezioni appare irrinunciabile il sentimento del dovere
kantiano, che attribuisce agli uomini e ai popoli il medesimo fine, il fatto cioè di
considerare l’uomo e il cittadino mai come mezzo, ma sempre come fine. Se si
prescinde dalla valenza etica, non è possibile dare fondamento razionale
all’uguaglianza, non è possibile un processo di riduzione della disuguaglianza.
Mazzini attribuisce all’uguaglianza un’ispirazione e un influsso divino; perciò
l’emancipazione nell’uguaglianza si pone sì come compito inderogabile, come
dovere, ma attraverso un imperativo che trascende la coscienza dell’uomo, un
comando che gli viene dall’intimo e insieme dall’alto.
Questo tipo di impostazione contiene residui dell’idealismo hegeliano, di cui
non è immune neanche Saint-Simon. Infatti, sia per Mazzini che per Saint-Simon,
il tentativo è di procedere ad una sintesi che racchiuda in un principio unico la
visione del mondo e che colga il significato profondo dell’esistenza3. Non è il
portato di un imperativo categorico insito nella coscienza, è un dettato sovrumano
che sfugge alla discussione e alla possibilità di poterne realizzare una certa qual
consapevolezza, se non nella fede.
Più opportunamente, Leroux recupera la sintesi confuciana di esistenza-
religione-ragione che spiegherebbe l’umanità dell’uomo, da cui dipende la sua
capacità di stringere relazioni, di attuare la socialità e la fratellanza. L’umanità
posta da Dio nell’uomo si presenta allora come unica legislatrice, al di là di ogni
intermediario; un’umanità senza profeti e senza messia, e per ciò stesso un’umanità
che direttamente legifera e governa4.
Bonaiuti avverte in Mazzini un forte richiamo alla tradizione cristiana,
interpretata comunque in termini deistici, per cui Dio è la realizzazione ipostatica e
la sanzione concreta delle leggi morali non scritte, da cui è retta la vita associata,
capace di accomunare gli uomini al di là di tutte le discipline esteriori e di tutte le
costituzioni5.

Al di là di ogni riflessione di carattere filosofico-teologico, le tesi di Leroux e


di Mazzini hanno rilievo, dal punto di vista politico e sociale, in quanto la sovranità
popolare è il portato dell’umanità dell’uomo, e costituisce il fondamento della
democrazia diretta. L’Europa si presenta allora come unione di popoli liberi e
indipendenti, come alleanza di repubbliche democratiche all’insegna

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dell’uguaglianza e della fratellanza, come sovranità popolari al plurale, nella parità


e nella reciprocità.
Da questa prospettiva è possibile comprendere l’ulteriore principio della
Giovine Europa e cioè «lo sviluppo libero e armonioso delle facoltà umane», in un
ambito in cui nessun ostacolo si opponga alla libera espressione dell’uomo e alla
libera associazione fra uomini e fra popoli; per cui, anche, ogni uomo, ogni popolo,
in quanto parte dell’umanità e in quanto in essa si riconosce, è portatore di valori
comuni, e di contributi atti alla realizzazione del benessere generale.
Giovine è l’Europa che si avvale dell’apporto delle generazioni; per cui, tra le
generazioni, si ristabilisce un recupero della fiducia reciproca, che è quasi sempre
venuta meno nei secoli precedenti, per il prevalere degli interessi contingenti,
rispetto al progetto della società giusta e fraterna. Giovine significa, anche, che
questa fiducia consente a tutti gli uomini e a tutti i popoli di rinnovarsi e di
concepire la visione di una società di uguali. Sembra anzi che il progresso
dell’umanità nell’uguaglianza e nella democrazia non sia possibile senza questa
fede.
La fiducia determina il profilo della speranza dell’umanità. Utopica è la fiducia
nel progresso come incremento della scienza e del sapere, come sviluppo della
democrazia e del benessere sociale. Distopico può diventare l’aspetto trascendente
e provvidenzialistico della dottrina politica mazziniana. Così come il sottolineare
l’elemento della fiducia e della speranza, senza tener conto della insocievolezza
prodotta proprio dai sistemi politici, dalle forme storiche di egemonia delle classi
dominanti, dall’impostazione capitalistica delle società occidentali; significa
perdere di vista la realtà su cui bisogna continuamente intervenire.
Quanto alla tendenza della reductio ad unum, sia dal punto di vista etico che
politico e sociale, essa è certo fondativa della nazione unitaria ma, dal punto di
vista politico, Mazzini persegue un fine contingente, ovvero fare dell’Italia una
«grande» nazione, al pari dell’Inglitterra e della Francia, riconducendo i popoli alla
delega, spesso incondizionata, del potere; sotto le forme della rappresentanza, in
cui la sovranità popolare tende a disperdersi nei meandri della burocrazia. Lo si
evince dall’Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia, in cui
prende corpo il senso della nazione una, indipendente, sovrana, e dove soprattutto
si insiste sulla rivendicazione dei territori di lingua e di cultura italiana ancora
soggetti allo straniero6.
La questione dell’unità finisce per rendere inevitabile la guerra di
indipendenza, che Mazzini si ostina a chiamare rivoluzione. Significa anche che,
finché tutti i contesti etnico-storico-linguistici non sono ricondotti ad un unico stato
e ad un’unica nazione, non è possibile impostare rapporti di relazione in Europa, se

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non sotto la forma delle alleanze contrapposte. Ma riconoscere l’autonomia dei vari
contesti politici e attribuire loro la deliberazione di appartenenza a una nazione,
non richiede una guerra di indipendenza o una rivoluzione. Tale è la tesi di Ferrari
e di Cattaneo, sia pure derivata da Proudhon7.
C’è poi il tema della sovranità, che potrà essere popolare e tendente a una
democrazia diretta se lo stato è a misura d’uomo, ovvero se è possibile il massimo
grado di partecipazione alla vita politica, che può realizzarsi solo nel piccolo stato,
connesso ad altri stati in una federazione. Mazzini ritiene che a tutto questo si può
ovviare istituendo ovunque la repubblica, che, di per sé, è garanzia
dell’uguaglianza nella cittadinanza, attribuisce ad ogni cittadino il diritto di
contestare al potere la realizzazione di interessi particolari o di parte. Egli è altresì
convinto che, in una repubblica così concepita, può essere superata anche la
divisione dei poteri, perché, idealmente, potere legislativo e potere esecutivo
sarebbero nelle mani del popolo, attraverso la ratifica dell’operato della
Costituente; e anche per la ragione che i poteri, distinti e autonomi, finiscono per
essere in lotta tra loro a danno dell’armonia della vita sociale e politica. Una
repubblica-nazione in un contesto di nazioni repubblicane, questa è la prospettiva
mazziniana dell’Europa. L’unità nazionale è lo strumento base del dialogo tra i
popoli. Infatti, per Mazzini, le federazioni come la Svizzera sono politicamente
inerti, immerse nelle ostilità locali, senza unità di fede e di legislazione, senza unità
di educazione8. .

Secondo Croce, Mazzini ha individuato i problemi eternamente connessi alla


società; cioè quello inerente l’emancipazione della persona, che avviene attraverso
l’educazione e la rieducazione morale, religiosamente morale o, se si vuole, di
rinnovata religiosità politica; ma l’errore ch’egli trova in Mazzini è quello di
affidare questo compito ad un ente immaginario quale è il popolo, che, di fatto, non
esiste; perciò Mazzini viene abbandonato da tutte le forze politiche che avrebbero
potuto realizzare concordemente questo progetto, ma nel quale nessuno ha mai
creduto9.
Croce, dal canto suo, non si rende conto che, se viene meno il popolo, viene
meno la società, lo stato, la nazione; questa carenza di Croce è ascrivibile alla sua
tendenza ad affidare la storia ai raggruppamenti politici, alla loro azione, alla loro
capacità di trascinamento delle masse; mentre è ormai chiara la visione della storia
come storia di popoli. Il popolo unico soggetto della storia, in quanto è il portatore
del progetto della storia sia nelle forme implicite, quando cioè il progetto si
manifesta attraverso espressioni che tendono a trascendere il tempo e lo spazio in
cui si pratica l’ingiustizia; sia nelle forme esplicite, attraverso le rivoluzioni10.

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Nella repubblica di Mazzini, invece, i popoli hanno un ruolo determinante, non


soltanto nell’ambito dello stato, ma anche nell’associazione di stati, quale si
presuppone sia la Giovine Europa. Nell’associazione repubblicana, cioè in una
condizione in cui ogni cittadino è parte attiva dello stato, è possibile anche una
equa distribuzione della ricchezza11. Nell’associazione repubblicana il territorio,
l’esercito, il potere sono del popolo; le risorse sono sfruttabili in nome del popolo,
per il popolo; le armate sono costituite da popolani che difendono la nazione, si
sacrificano per essa, come voleva Machiavelli; supposto che, per Mazzini, principe
sia il popolo.
A capo di un popolo così concepito occorre un governo che sia espressione e
modello di libertà e di progresso; un governo promotore delle attività produttive
per il benessere generale. Nell’associazione delle repubbliche, la democrazia è
espressione di verità politica in universale12.
La storia dell’Italia unita ci dice chiaramente che le cose non stanno in questi
termini, se ancora oggi si discute e si lavora sul tema dei rapporti tra nord e sud, sul
divario economico-sociale che divide ancora le popolazioni del mezzogiorno da
quelle del settentrione; tutta la discussione sulla devolution, la cui graduale e lenta
realizzazione sembra comportare l’istituzione di poteri sovrapposti, doppie
fiscalità, incoerenze amministrative; fa prefigurare difficoltà, non sempre
oggettive, relativamente alla democrazia come impianto di una verità politica
incontestabile in ambito europeo.
Mazzini, pur essendo consapevole del variegato tessuto dell’Italia, tanto che
registra sistemi diversi e anarchici negli stessi partiti democratici, non riesce a
delineare un progetto di autonomizzazione dei contesti politici e sociali, per la sua
avversione al socialismo, per i pregiudizi che nutre nei confronti delle teorie
federaliste13. Nel Manifesto programmatico del Comitato Centrale Democratico
Europeo redatto nel luglio del 1850, Mazzini, con a fianco Ledru-Rollin, non si
preoccupa di esprimere le istanze delle democrazie europee, quanto invece di
realizzare la più grande unità possibile dei partiti democratici europei.
Ledru-Rollin, d’altro canto, è il responsabile della svolta reazionaria della
Francia, per la sua ostilità al socialismo e il suo atteggiamento contro gli operai
nella primavera del ’48.
In una lettera a Mazzini George Sand, invitata a prendere parte al Comitato,
esprime il suo rammarico per la scelta di Ledru-Rollin, per il contenuto del
Manifesto e per il carattere elitario dei partecipanti al Comitato14.
Louis Blanc rimprovera a Mazzini e a Ledru-Rollin il fatto che i rappresentanti
nazionali del Comitato non sono tali per delega elettorale dei partiti democratici15.

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Per gli stessi motivi non aderisce al Comitato neanche Herzen. Si ottiene invece
l’approvazione e l’adesione di Arnold Ruge in Germania.
La critica di Marx ed Engels al Manifesto mazziniano si appunta soprattutto
sulla mancata comprensione, da parte dei mazziniani, del materialismo storico e del
materialismo dialettico, oltre che alla mancata distinzione tra struttura e
sovrastruttura che, per il marxismo, è il principio motore della storia.
Mazzini e i mazziniani pensano, poi, di poter conciliare tutte le forze
democratiche nel Comitato, senza tener conto delle profonde divergenze tra i
democratici europei.
La democrazia teorizzata dai mazziniani, anche per Ferrari appare formale e
inconcludente perché non si propone di affrontare nei modi dovuti la questione
sociale. Le insurrezioni mazziniane, oltre che dare pretesto all’Austria di rafforzare
il suo dominio sull’Italia, tendono a rovesciare il sistema moderato, per affidare al
Comitato Centrale Europeo la guida delle nazioni16.
Paolo Rossi attribuisce a Mazzini il difetto di non conoscere i problemi sociali
e politici dei popoli europei, per il suo misticismo e per il carattere predicatorio del
suo apostolato17.
L’intento di Mazzini appare, tuttavia, mirato al consolidamento della
democrazia in Europa attraverso una grande opera di riconciliazione delle forze
politiche democratiche, per opporre un fronte di rivendicazioni nazionalistiche, di
senso politico e sociale, che non si riesce a praticare nei singoli ambiti nazionali. Si
tratta della fondazione della democrazia europea per superare l’immobilismo in cui
versano tutti i partiti democratici.
Il Comitato Centrale Democratico di Mazzini è il prototipo di una visione
europeista della politica, che poi verrà attuata da quasi tutti i partiti, in ambito
europeo. Infatti, accanto all’internazionale socialista, si istituirà l’internazionale dei
popolari e dei liberali, per trovare le radici ideologiche comuni e concepire una
prassi politica sopranazionale di stampo sociale. L’internazionale socialista si
sviluppa in Europa, ma non ha una visione autenticamente europeista, poiché tende
all’unione mondiale delle forze operaie e non ha un progetto di unione politica
dell’Europa. È nota l’attività di Mazzini relativamente alla costruzione
dell’Internazionale dei lavoratori del 1864, in cui fu fortemente osteggiato da Marx
e isolato dalla maggior parte dei componenti il Comitato18.
Il fallimento del Comitato Centrale Europeo viene ascritto all’incapacità di
Mazzini. Di fatto Mazzini non si rese conto del variegato profilo politico dell’Italia
e dell’Europa; il suo unitarismo non è praticabile per le contrapposizioni
ideologiche, per la divergenza degli interessi dei singoli stati, per l’impossibilità di
un apostolato sul popolo, emarginato nella miseria e nell’analfabetismo. Mazzini è

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fortemente criticato dai repubblicani per i suoi contatti con Carlo Alberto e, a sua
volta, egli rimprovera i socialisti perché tesi piuttosto alla soluzione dei problemi
sociali rispetto a quelli politici, considerando che i problemi sociali sono risolvibili
solo dalla politica. Mazzini è criticato anche per aver determinato l’isolamento
dell’Italia, per aver ricusato l’aiuto militare della Francia.
Molte accuse rivolte a Mazzini sono, però, infondate. Ad esempio, non si può
dire che egli sia mai venuto meno al suo ideale repubblicano; anche quando si
rivolge alla monarchia sabauda, lo fa sapendo che la monarchia costituzionale è
l’inevitabile via per la transizione alla repubblica. Quanto alla Francia, Mazzini
considera che l’indipendenza ha carattere patriottico-rivoluzionario e deve essere
realizzata dai patrioti e non dagli eserciti; nel contempo egli simpatizza con quei
francesi che hanno a cuore i diritti umani. Il federalismo è per Mazzini
«inintelligibile», perché viene assunto come mero localismo, pur essendo egli per
l’autonomia amministrativa dei comuni19.
Nel 1872, Mazzini ripropone il suo concetto di verità, che si fonda sulla
coscienza storica e sulla tradizione, sulla combinazione tra l’analisi dei fatti e la
loro interpretazione. Proprio l’interpretazione dei fatti storici induce all’azione, per
la consapevolezza che si acquisisce dello stadio dell’emancipazione raggiunto
rispetto a quello da raggiungere. La coscienza storica mette, poi, in luce il valore
dell’associazione; è storicamente dimostrato che, mediante l’associazione, gli
uomini e i popoli hanno potuto raggiungere traguardi non raggiungibili
individualmente20. È evidente qui il riflesso di alcune teorie di Leroux e di Saint-
Simon.
La storia, per Mazzini, è progresso nella libertà, vale a dire che tutto ciò che
non risponde ad un divenire nella libertà non è progresso, non è storia;
l’mmobilismo rappresenta un blocco del progresso e della storia; un rischio insito
nella storia umana, poiché non c’è una dialettica che imposta a priori il libero agire
degli uomini, né sussiste un fine assoluto della storia supposto idealmente a priori;
non ci sono categorie o teoremi della libertà, in quanto è essa stessa in continuo
farsi21.
Negli stessi termini il concetto di cittadinanza, potrebbe perdere il suo senso
morale, se viene inteso in termini domestici, cioè per dare senso alla propria vita
individuale e al gruppo di appartenenza; ma anche quando nella cittadinanza sono
implicite discriminazioni di ceto, di ricchezza e di potere; quando si suppone e si
tollera un diverso destino per gli associati; perché la virtù civica impone a tutti la
reciproca solidarietà e la sobrietà dei costumi22.
Analogamente la democrazia, per Mazzini, è fondata sul consenso tra eguali, in
cui nessun individuo, nessun gruppo prevarica gli altri; sulla base del principio di

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reciprocità, la democrazia si espande dall’ambito municipale alla nazione e


all’Europa. Così, per Mazzini, la libertà di una nazione è precaria se le nazioni che
la circondano non sono libere. Questo comporta anche, oltre la reciprocità, il senso
della responsabilità rispetto ai popoli non ancora liberi e indipendenti23.

2. La costruzione dell’Europa

Con l’Atto di fratellanza della Giovine Europa sottoscritto a Berna il 15 aprile


1834 da rappresentanti italiani, polacchi e tedeschi, Mazzini ripropone ai popoli
europei una sorta di atto di fede nell’uguaglianza e nella libertà, già sottoscritto nel
patto della Giovine Italia, miseramente sciolto per il fallimento dei moti
insurrezionali nella Savoia e per la recrudescenza delle forze di polizia.
Si tratta di un rilancio della fede nella democrazia a livello sopranazionale,
correlata al principio di indipendenza delle nazioni. Il patto impone, ai singoli e ai
popoli, la missione di concorrere a realizzare il piano «generale dell’umanità», un
piano assegnato da Dio; per cui i popoli che sottoscrivono l’atto sono l’avanguardia
della costruzione del progresso dell’Umanità. Dunque l’unione europea è una parte
del grande patto di alleanza dell’umanità, che non escluderà nessun uomo, nessun
popolo24.. Il principio è parte integrante dello Statuto e messo in risalto dai suoi
estensori.
L’alleanza dei popoli, in Mazzini, ha lo stesso tono biblico della nuova
alleanza tra Dio e gli uomini, l’alleanza che Dio pattuisce con Noè all’indomani del
diluvio universale; che si concretizzerà poi attraverso l’umanizzazione del Cristo e
la sua promessa di redenzione.
A parte i presupposti teologici, di cui bisognerebbe trovare le ragioni sociali e
politiche, per non sospendere il discorso nel misticismo, Mazzini individua
chiaramente che il fine dell’associazione dei popoli è la loro umanizzazione, la
rispondenza dei fini di ogni singolo uomo e di ogni singolo popolo all’unica vera
alleanza possibile, che, oltre gli uomini, finirà per comprendere la natura e il
cosmo.
Mazzini intuisce la portata di un rapporto che sussiste tra essere e coessere, che
dissolve la solitudine di quello che sarà poi l’essere inautentico di Heidegger, e
conduce alla concomitanza degli scopi e dei fini, alla collaborazione-cooperazione;
in cui veramente si manifesta l’umanità dell’uomo e in cui ogni uomo, ogni popolo,
riceve il reciproco, il complementare dell’altro uomo, dell’altro popolo25. La forza
dell’associazione, dice Mazzini, non si misura sulla quantità dei membri, quanto
sulla omogeneità degli intenti, che, quanto più hanno carattere universale, tanto più

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sono condivisi; dalla condivisione dei fini deriva poi anche la compattezza
dell’azione26.. Questo vuol dire anche che deve essere chiara, a livello sociale e
politico, l’ispirazione morale che muove all’azione, che, a sua volta, richiede
strumenti adeguati di realizzazione. Il principio d’azione, in Mazzini, corrisponde
al marxiano rapporto teoria-prassi, in cui, però, sopravviene la provvidenzialità
dello spirito mistico che attribuisce all’opera dell’uomo una corrispondenza
all’opera di Dio.
Per questo, in Mazzini, l’uguaglianza e la libertà degli uomini sfociano
inevitabilmente nella fratellanza, cioè in un rapporto complementare e reciproco, di
mutuo riconoscimento etico-esitenziale. Questo spiega anche perché, per Mazzini,
qualsiasi altra formula è destinata a fallire, perché non è inclusiva della materialità
e insieme della spiritualità.
Il tentativo di Buonarroti di riunire tutte le Vendite della carboneria in un unico
organismo con un centro propulsore nell’Alta Vendita di Parigi, non si realizza per
il suo spirito elitario, per la sua tendenza alla segretezza degli intenti, per la sua
azione settaria; fallisce anche per il sopravvenire della Giovine Europa, che include
nel suo programma, tra l’altro, principi sociali e strumenti di autentica democrazia,
che la carboneria non aveva saputo esprimere.
La fratellanza tra Italia, Germania e Polonia comporta anche il superamento
della divisione delle razze: quella germanica, quella slava e quella greco-latina;
cioè l’implicito riconoscimento della comune origine dei popoli, della loro pari
dignità. Italia, Germania e Polonia sono anche espressione di una capacità di
iniziativa rivoluzionaria che né l’Inglitterra, chiusa nel suo egoismo mercantile, né
la Francia, che considerava esaurito il compito rivoluzionario, possono porsi come
missione, come portatrici del piano dell’umanità27. Ogni popolo, per Mazzini, è
espressione dell’avvenire dell’Europa e dell’Umanità, purché avverta in sé il
richiamo della fratellanza prossima e della fratellanza remota28. Il principio di
fratellanza è desunto dal Vangelo, per cui Mazzini gli attribuisce un senso etico-
religioso; ma, dal punto di vista sociale e politico, il principio si esprime
nell’associazione che è immanente all’uomo, che, come dice Aristotele, è istinto
umano, come tendono a far credere anche le teorie contrattualistiche non viziate
dall’utilitarismo. Per questo, è attraverso l’associazione che si può realizzare la
fratellanza; le alleanze e le associazioni sono il progetto dell’umanità in quanto
storia, in quanto unico possibile essere e divenire dell’uomo e dell’umanità.
Anche la democrazia, per Mazzini, è nel divenire dell’Umanità, ma non può
essere scissa dallo spirito di associazione e dall’aspirazione alla fratellanza, in
quanto democrazia è rapporto armonico tra individuo e collettività. Quanto più
ampio è questo rapporto tanto più è concreta la democrazia.

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La libertà di un popolo è precaria se i popoli che lo circondano non sono liberi,


così la democrazia è limitata e precaria se non vive tra le democrazie.
Nell’associazione e nella fratellanza dei popoli si esclude qualsiasi tendenza alla
tirannide come all’anarchismo, ambedue conseguenti ad una visione
esclusivamente individuale della libertà29.

Posta la questione in questi termini, ci sembra di ravvisare una prospettiva


analoga, per certi versi, a quella di Montesquieu. In L’esprit des lois Montesquieu
vede l’Europa come l’asse del commercio mondiale, cioè individua nell’Europa il
perno della diffusione del benessere in universale, considerando il benessere
elemento indispensabile e fondativo delle buone relazioni. L’esprit dell’Europa sta,
poi, nella circolarità continua tra fisico, morale e politico, ovvero nella capacità di
offrire oltre che un clima temperato e una equa distribuzione delle bellezze
naturali, una possibilità dell’equilibrio dei poteri, quando ancora contiene in sé
repubbliche a monarchie, stati unitari a stati federali, quando deve far coesistere
costumi, lingue, religioni diverse. Nelle Considérations, Montesquieu parla
dell’Europa come luogo della comunicazione intellettuale in senso cosmopolitico,
con flussi e riflussi migratori, spesso imponenti. In Europa è possibile una société
des sociétés, ovvero l’estensione orizzontale delle repubbliche preesistenti e della
federazione fra repubbliche. In Lettres Persanes si dice che il carattere distintivo
dell’Europa è il lavoro, l’operosità, salvo, poi, la discussione sull’organizzazione
del lavoro e sui rapporti di produzione30.
Dall’Europa si irradia il principio di libertà, cui Mazzini attribuisce due
aspetti: libertà come spontaneità operativa e libertà come capacità di una libera
scelta tra il bene e il male. Trascuriamo qui la considerazione del dover essere, la
cui ispirazione è di carattere religioso-metafisico; consideriamo invece la libertà
come spontaneità operativa, già attribuita agli Europei da Montesquieu, in cui
consiste anche, per Mazzini, la caratteristica dei rapporti sociali e politici. Senza
libertà non può esserci società, poiché tra liberi e schiavi non può esserci
associazione, ma solo rapporto di dominio.
La libertà è la legge del progresso, poiché non c’è progresso se non nella
libertà; così come non c’è progresso, in ambito sociale e politico, senza
associazione; nell’associazione l’individuo si fa famiglia, nazione, umanità. Ma
nella libertà c’è anche la misura della responsabilità, in quanto per Mazzini, la
libertà, più che un diritto, si presenta come dovere. Per questo anche la libertà è
lotta e conquista, rientra nel concetto di missione, il cui venir meno fa scadere la
libertà nell’individualismo e nell’egoismo. Per tutti questi motivi la coscienza di

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libertà è pienezza della mente, è quel particolare tipo di conoscenza che si traduce
inevitabilmente in azione31.

Gli interpreti di Mazzini, si chiedono, a questo punto, se in lui sussiste una


teoria gnoseologica e, non trovandola, immaginano di poterla desumere da Kant,
cui Mazzini, per molti versi è debitore32. Una teoria della conoscenza nei termini
kantiani conduce alla riscoperta del valore dell’esperienza e, se questo valore si
applica alla storia, è possibile desumere leggi di senso universale che ci permettono
di costruire un profilo del divenire dell’umanità, al di là dei sistemi filosofici e
politici. Da questa angolazione Mazzini individua il divenire dell’Europa e di tutti
gli altri popoli; di cui però egli accentua, forse in modo ossessivo, il profilo etico.
Attribuisce agli uomini, alle nazioni e all’Europa un elevato livello di
emancipazione, senza considerare problematiche economiche, contraddizioni
politiche e sociali, in cui ancora l’Umanità è immersa.
Se ci rifacciamo a Kant, dobbiamo porre il sentimento del dovere come
l’imperativo della coscienza, prima ancora di istituire una teoria della conoscenza.
Per questo Mazzini pone la libertà come consapevolezza dell’essere d’uomo,
dell’essere dei popoli, senza preoccuparsi della ragioni che possono esserci alla sua
base. Mazzini non pone postulati chiarificativi; assume la libertà come imperativo
della coscienza; e a chi chiede spiegazioni, risponde che Dio stesso ha posto
nell’uomo l’istinto della libertà.
Manca una prospettiva fenomenologia della realtà umana, che gli consenta di
attribuire ai processi in atto, soprattutto quello relativo all’unione dei popoli
europei, la gradualità epocale. E tuttavia non basta la prospettiva fenomenologia,
per individuare tutti gli ordini dei problemi relativi ai rapporti e alle relazioni di
portata europea e di portata mondiale.
Jan Patocka, un filosofo della resistenza boema, suggerisce di superare la
visione fenomenologica husserliana, con la quale si rischia di mettere in oblio il
mondo della vita, cioè le relazioni dei fenomeni, che sono sempre più complessi,
soprattutto in ambito sociale e politico. Il fatto che la libertà è a fondamento
dell’umanità dell’uomo e di popoli resta un enunciato generico, se non si istituisce
un dialogo effettivo tra le diverse culture e le diverse forme di umanità, per trovare
ciò che è comune a tutte, senza far passare per universale una specifica cultura, una
determinata civiltà, una singolare forma di umanità33. Il problema è, semmai,
quello di rendere possibile il dialogo che, fino all’era della globalizzazione, è
compromesso, nelle singole nazioni europee, dal sistema rappresentativo di tipo
prevalentemente centralistico, dall’autocrazia dei partiti e dalla stampa asservita

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alle ideologie o agli imprenditori editoriali; il vettore centralistico si proietta poi


anche nella globalizzazione sotto forma di alleanza dei paesi capitalisti.
Già Francesco Saverio Nitti, all’indomani della prima guerra mondiale,
sottolinea l’emergere di singoli interessi e di specifiche ambizioni nei trattati di
pace34. Analoga è l’analisi di Altiero Spinelli all’indomani della seconda guerra
mondiale; ma, in Spinelli, le avvertenze di Nitti diventano lo stimolo per la
realizzazione di una strategia della parità su cui si fonda il movimento per la
costruzione dell’unità europea35. C’è chi attribuisce all’Europa una tensione alla
definitiva decadenza. Ad esempio, per Umberto Eco, gli unici fattori unitivi sono la
comune responsabilità bellica dei popoli europei e occidentali e la crescente
disgregazione delle identità culturali36. C’e ancora chi, come Massimo Cacciari,
propende per una visione dell’Europa che ha definitivamente dismesso la sua
azione di conquista e di colonizzazione, anche perché non ha più confini da
trasgredire, e gli elementi interni di contesa si esauriscono o perdono senso.
L’Europa perciò può rinascere ammettendo la sua decadenza, facendo la guerra a
se stessa, per aprirsi all’altro. L’Europa deve riuscire a pensarsi come a-topia, cioè
come incapace di progettualità, come noluntas37. In effetti Cacciari propone il
«silenzio» dell’Europa, ovvero l’abbandono della sua diffusa tematica degli
opposti, che è tipica delle culture occidentali, per far emergere un criterio di
armonia sostanziale con il mondo. Eliminato il pre-supposto logico degli opposti,
l’Europa può ri-congetturare il suo metodo di approccio alla verità38.
L’assunto di Cacciari rientra, in qualche modo, nella visione mazziniana
dell’Europa giovine, cioè di un Europa capace di affidarsi alle nuove generazioni di
filosofi, di scienziati, di politici; una sorta di rinascita o di renovatio nella
prospettiva dei fini, nella capacità di saper intendere l’altro.

3. Europa «Société des sociétés»

Per trovare vincoli comuni tra società diverse, Mazzini riconduce le società
stesse a popoli, cioè alla versione più autenticamente politica dell’aggregato
sociale, per il fatto che ogni società-popolo ha un impianto giuridico ed economico
condiviso da tutti i suoi membri, che è l’esponente concreto da mettere in relazione
con altre società, con altri popoli.
Sul piano culturale ed etico, sussiste già una implicita reciprocità
nell’universale riconoscimento dei diritti fondamentali e nei rapporti interculturali.
Eventuali difficoltà nascono in campo economico e nel diritto internazionale, in cui
prevale l’interesse particolare delle singole nazioni. Così come problematica è la

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Rivista di Studi Utopici n.1 aprile 2006

regolamentazione degli scambi. In questo contesto, il quadro si complica quando si


considera il livello di autonomia dei singoli contesti politici e sociali già all’interno
di uno stato, la cosiddetta devolution, a cominciare dai Municipi, cui Mazzini
attribuisce grande rilevanza dal punto di vista dell’autonomia politico-
amministrativo39. La connessione nazione-comune stabilisce gli estremi politici e
culturali della società-popolo; il locale, per Mazzini, non è mai periferia o elemento
subordinato ad un centro regolatore in senso verticistico. Inoltre, il politico non
esclude mai il sociale, anzi lo presuppone, tanto che la politicità di un popolo si
misura sulla base del livello di socialità che riesce ad esprimere. Queste
connotazioni permettono di distinguere il popolo dalla moltitudine e dalla massa.
I popoli, per Mazzini, sono i soggetti irriducibili della storia, perché nella storia
emerge soprattutto l’espressione di una volontà generale, politicamente e
giuridicamente istituzionalizzata, cui corrisponde l’azione dei popoli, la
responsabilità dei popoli.
I popoli, inoltre, sono elemento di connessione tra individuo e società, tra
individui e umanità. Si costituiscono come aggregazioni di persone consapevoli dei
fini da raggiungere, consapevoli dei propri doveri, della missione umana cui sono
chiamati, per il «divino» che è nella loro natura, per l’ispirazione posta da Dio in
ogni uomo a realizzare la sua umanità insieme agli altri uomini.
L’ispirazione divina, o, se si vuole, la spiritualità dell’uomo, rende
inaccettabile ogni forma di collettivismo, in quanto nessun popolo è riconducibile
ad un unico modo d’essere; mentre la persona si identifica nel popolo, nel popolo
realizza la sua dignità politica, la sua socialità; nella società-popolo prende risalto
la sua autonomia di pensiero e di azione; il collettivismo è da Mazzini definito
come lo stato di inerzia della persona.
Il popolo, per Mazzini, è dunque la più elevata forma di aggregazione, sia a
livello sociale, che politico ed etico, poiché nel popolo la persona realizza la libertà
personale, l’uguaglianza tra simili, la giustizia nella società e nello stato; attraverso
il popolo la persona realizza la sua umanità, perché il popolo, più che la società,
rappresenta il complesso di tutti i diritti; nel popolo si ritrovano tutte le volontà
particolari; attraverso il sentimento di popolo ogni contesto sociale e politico
raggiunge l’intesa sulla gestione della cosa pubblica, il popolo finisce per avere una
sola anima, una sola coscienza40. Il concetto etico che sostiene l’Alleanza
Nazionale Italiana, istituita il 5 marzo del 1848 a Parigi, in seguito allo
scioglimento della Giovine Italia, è quello del reciproco riconoscimento, della
ricognizione delle affinità, più che delle differenze; dell’appartenenza alla
medesima cultura, alla medesima patria; di essere titolari della stessa cittadinanza,
di essere osservanti della medesima legge; la legge dei popoli liberi; una legge che

111
Rivista di Studi Utopici n.1 aprile 2006

affratella non solo i cittadini di uno stato, ma i cittadini di tutti gli stati europei e
che non sopporta corruttele, false dottrine e complicazioni delle diplomazie41.
Nell’associazione tra popoli, al di là dei patti politici e degli impegni economici,
interviene, nella teoria mazziniana, il principio mutualistico di Proudhon, in quanto
si esclude qualsiasi forma di gerarchia tra le nazioni, qualsiasi tendenza alla
verticalizzazione dei poteri; così come sono aboliti tutti i simboli e i modelli che
possono contraddistinguere i popoli per renderli antagonisti; l’unione pratica uno
spirito di fraternità e di lealtà. In quanto aggregazione di uomini, l’associazione è
portatrice della rivoluzione permanente, come dice Proudhon e poi Marx, e vince
ogni sistema dottrinario.
Tutto questo comporta inoltre la rinuncia all’amor proprio, ai particolarismi e
ai campanilismi42. Si tratta, per Proudhon come per Adam Fergusson, di un
processo virtuoso, in cui persino la proprietà è espressione di operosità; che quindi
segna l’evoluzione storica della società in termini di benessere generalizzato, e in
cui la differenziazione sociale, prodotta dalla divisione del lavoro, ricompone la
società nelle abilità, nelle competenze, nei saperi43. L’alleanza tra società diverse è
allora possibile se tutte hanno raggiunto la dignità di associazione mutuale, la
consapevolezza di una possibile generale riconciliazione, dice Rawls, in una
Europa segnata da storie di guerra, da genocidi, da fenomeni malavitosi44.
In questo quadro, per superare contraddizioni e antinomie, occorre un processo
di generale riconciliazione
Nel processo di riconciliazione delle nazioni, Mazzini scorge anche la
possibilità di dirimere tutte le controversie tra le ideologie contrapposte e, contro le
critiche di Marx ed Engels, che lo accusano di idealismo, in quanto ignaro del
sistema dei rapporti di produzione che in Europa portano al conflitto delle classi,
propone al Comitato centrale europeo la ricomposizione dell’Europa sulla base del
riconoscimento dei diritti fondamentali e inalienabili45.
D’altro canto, dice Mazzini, l’età moderna è segnata, dall’emergere di
insurrezioni e rivoluzioni che, se pure hanno comportato errori e insuccessi, hanno
fatto emergere, di fatto, il valore politico e sociale della volontà popolare, da cui
sono nate le democrazie moderne, e hanno determinato un sistema di democrazie
che si rapportano tra loro; e hanno anche, gradatamente, disperso le fazioni, le
partitocrazie, restando sempre fermo il principio di popolo.
In tutta Europa, la coscienza democratica porta milioni di operai a chiedere
«lavoro e pane» per tutti, e a far risaltare le contraddizioni dei governi «spolpati
dallo spionaggio», dalla corruzione, dagli eserciti permanenti46. Mazzini vede
l’unione europea come aggregazioni di popoli-nazione, di repubbliche
democratiche, che hanno un elevato senso della libertà e della nazionalità. Secondo

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Mazzini, il cosmopolitismo che si è sviluppato nel XVIII secolo si presta a


confusioni e a fraintendimenti, senza un riferimento al principio di nazionalità.
Questo principio è l’unico intermedio tra individuo e umanità, in quanto
corredato di forza aggregativa universale; tutte le altre forme di aggregazione sono
mirate, hanno fini particolari, anche se nobili e determinanti dal punto di vista
sociale e politico. E tuttavia, il principio di nazionalità è elemento aggregativo di
carattere culturale e non anche etico, poiché deve essere ancora correlato al
sentimento della patria, che esprime il legame etico dell’individuo alla nazione.
Nel sentimento di patria c’è umanità, poiché per la patria l’individuo è disposto a
mettere a disposizione tutte le sue capacità, la vita stessa47. Il principio di
nazionalità, correlato a quello di patria, offre non pochi spunti polemici, poiché il
sentimento di patria, in termini mazziniani, significa sia il vincolo culturale e
morale che sussiste tra appartenenti alla stessa tradizione, che usano un medesimo
linguaggio e adottano i medesimi costumi; ma vuol significare anche l’acquisizione
di una precisa identità rispetto a tutte le altre patrie. Senza dubbio, patria implica
anche il comune sentimento di libertà, rispetto ai popoli oppressori, soprattutto
nella fase della formazione delle nazionalità48.
Da questo punto di vista, patria è concetto morale che rifluisce nella nazione, o
meglio in quella che si definirebbe Società delle nazioni, quando non sussistono
più rapporti di dipendenza tra i popoli. Il patriottismo dissolve la sua valenza epico-
eroica per tradursi, nella nazione, in associazione di patrie, in volontà di armonica
coesistenza delle differenze.
La patria, per E. Bloch, è il richiamo ad una radice dell’umanità, la costruzione
della storia e la liberazione continua dall’alienazione, l’uomo che ha realizzato una
democrazia sostanziale: «Allora nasce nel mondo qualche cosa che rifulge a tutti
nella fanciullezza e in cui nessuno è ancora stato: la patria»49. La patria-utopia di
Bloch si correla al principio di libertà e di giustizia, in senso universale, ed è
corredata del principio speranza, cioè di un’istanza che tende a materializzarsi e a
inverarsi continuamente.
Proprio il concetto di patria, tuttavia, rende ambiguo, in Mazzini, anche il
concetto di nazione. Da una parte il concetto è legato indissolubilmente all’unità e
alla sicurezza delle frontiere; un assunto che può essere comunque giustificato
dall’istanza indipendentistica delle nazioni50. Dall’altra parte, in Dovere e
necessità, Mazzini afferma che la nazione non può essere scissa dall’umanità; anzi,
sembrerebbe scontato il trapasso del concetto di patria nella nazione e da questa
nell’umanità. Di conseguenza, in Politica internazionale, Mazzini conferma che la
nazione è il popolo che si inserisce nell’umanità, e tutti i popoli lavorano allo
stesso fine, e ciascuno vi contribuisce con le proprie attitudini e con i mezzi di cui

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dispone51. La tematica della patria e della nazione, se viene rapportata allo sviluppo
del mercato globale, si dissolve ulteriormente per l’interdipendenza economica che
viene a stabilirsi tra stati, per cui le stesse istituzioni, ma soprattutto il potere
legislativo, sono fortemente condizionate dalla prassi economica mondiale, tanto
che la politica estera degli stati stenta a correlarsi agli eventi sopranazionali; i
poteri esecutivi sono indotti ad adeguarsi alle decisioni intraprese dagli stati della
stessa area geopolitica.
Si richiede un’accelerazione della prassi politica, con la conseguenza
dell’indebolimento della salvaguardia costituzionale, che tradizionalmente
salvaguarda la politica interna. Inavvertitamente si determina anche un deficit di
democrazia, poiché le decisioni in campo internazionale risultano spesso
immotivate al popolo della nazione52.

Note

1
Manifesto della Giovine Italia, in Scritti politici a cura di T. Grandi e A. Comba,
Torino 1972, pp. 173-179.
2
Atto di fratellanza della «Giovine Europa», in Scritti politici, cit., p. 373.
3
Cfr. SAINT-SIMON, L’esquisse d’une nouvelle encyclopédie, Paris 1810; G. MAZZINI,
Fede e avvenire, Imola, ed. naz., 1906-1943, VI.
4
Cfr P. LEROUX, De la philosophie et du Christianisme. Réponse à quelques critiques,
«Revue Encyclopédique», agosto 1832 ; G. MAZZINI, Lettera a F. Prandi, 13/9/1834, ed.
naz., cit., I, p. 149.
5
Storia del cristianesimo, III, Milano 1942-43, pp. 490-495.
6
Scritti politici, cit., pp. 164-165.
7
Per queste argomentazioni cfr. il mio Alle origini del federalismo. Giuseppe Ferrari,
Bari 1996 e Città, federazione, cosmopoli in C. Cattaneo, Genova 2002.
8
Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia, in Scritti politici, cit., pp.
170-172; vedi anche Contro il federalismo, in AA.VV., Il pensiero e l’opera politica di G.
Mazzini, a cura di G. Santonastaso e M. Ralli, Messina-Firenze 1975, pp. 127-130; cfr. W.
MATURI, Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, in AA.VV., Nuove
questioni della storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia, I, Milano 1976, pp. 39-130; S.
MASTELLONE, Il progetto politico di Mazzini (Italia-Europa), Firenze 1994, pp. 41-46.
9
Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari 1967, pp. 69-70.
10
Per un approfondimento del discorso si veda A. COLOMBO, L’Utopia. Rifondazione
di un’idea e di una storia, Bari 1997.
11
L’iniziativa, in Scritti politici, cit., p. 1016.
12
Alleanza repubblicana, in Scritti politici, cit., pp. 986-1000.

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13
Lo spirito della democrazia e la molteplicità dei sistemi, in AA.VV., Il pensiero e
l’opera ecc., cit., pp.139-142.
14
G. MAZZINI, ed. naz., cit., XLIV, pp. 156-163.
15
Lettera a A. Barbès, in J.-F. JEANJEAN, Louis Blanc et Ledru-Rollin. Lettres inédites,
in La Révolution de 1848, Paris 1910, pp. 109-114.
16
Cfr. F. DELLA PERUTA, I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e
contrasti politici all’indomani del 1848, Milano 1958, pp. 19-29.
17
Prefaz. a C. CATTANEO, L’insurrezione di Milano nel 1848, Milano 1951, pp. 6-7.
18
Cfr N. ROSSELLI, Mazzini e Bakunin, Torino 1967.
19
Agli Italiani. Marzo 1853, ed. naz., cit., LI, pp. 17-84.
20
Condizioni e avvenire dell’Europa, ed. naz. cit., XLVI, pp. 255-256; Cfr M.
ALBERTINI, Idea nazionale e ideali di unità supernazionali in Italia dal 1815 al 1918, in
AA.VV., Nuove questioni del Risorgimento ecc., cit., II, pp. 671-728.
21
C. CARBONARA, Platonismo e cristianesimo nella concezione mazziniana della
storia, Napoli 1959, pp. 59-61.
22
L. SIEDENTOP, La democrazia in Europa, Torino 2001, pp. 66-68.
23
Organizzazione della democrazia, in Scritti politici, cit., pp. 667-671.
24
Atto di fratellanza della «Giovine Europa», in G. SANTONASTASO, M. RALLI, Op.
cit., pp. 97-99.
25
Quanto ai presupposti filosofici, può essere condivisibile la prospettiva che ne dà
Cleto Carbonara nell’Op. cit., pp. 20-26; superando tutte le ipotesi fatte fino a Croce e
Gentile, sulla filosofia di Mazzini, Carbonara ritiene che l’impostazione sia platoniana-
vichiana, poiché anche Mazzini discopre una interiorità provvidenziale nell’uomo, che è
immanente e trascendente nello stesso tempo, è l’avvicendarsi del logos e dell’eros che
impone all’uomo di ascendere di virtù in virtù, di valore in valore, per cui l’interiorità, il
pensiero, l’idea si trasforma in azione.
26
Istruzione generale per gli affratellati ecc., cit., pp. 164-165.
27
Cfr. L. SALVATORELLI, Prima e dopo il ’48, Torino 1948, pp. 137-141.
28
Lettera a G. Figlioli, 21 luglio 1831, ed. naz, V, pp. 33-34; Cfr. F. DELLA PERUTA,
La creazione della «Giovine Italia», in G. SANTONASTASO, M. RALLI, Op. cit., pp. 108-
110; S. MASTELLONE, Mazzini e la Giovine Italia (1831-1834), I, Pisa, 1960,
Appendice, pp. 286-293.
29
Organizzazione della democrazia, in Scritti politici, cit., pp. 667-671; La Santa
alleanza dei popoli, Ivi, pp. 652-657; cfr. L. SIEDENTOP, Op. cit., pp. 69-70.
30
Tutta questa argomentazione è stata messa in luce nel Convegno internazionale
L’Europa di Montesquieu, tenuto a Genova dal 26 al 29 maggio del 1993; per un’idea
generale degli argomenti dibattuti si veda M. PASINI, L’Europa di Montesquieu. Cronaca di
un Convegno, «Rivista di Storia della filosofia», 49, 1994, n. 1, pp. 11-119.
31
I collaboratori della Giovine Italia ai loro concittadini, 1832.
32
C. CARBONARA, Op.cit., pp. 61-62.
33
Liberté et sacrifice, tr. fr. di E. Abraams, Grenoble 1990, pp. 211-212.
34
Europa senza pace, in Scritti politici, Bari 1959, pp. 16-23.

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35
Il progetto europeo, Bologna 1985, pp. 151-191.
36
L’Europa incerta tra rinascita e decadenza, «Repubblica», 31 maggio 2003, pp. 1 e
38-39.
37
Geofilosofia dell’Europa, Milano 1994, pp. 157-159.
38
Ivi, p. 26.
39
Cfr. Sul manifesto del Comune parigino, ed. naz,, cit., VI.
40
Istruzioni generali per gli affratellati ecc., in Scritti politici, cit., pp. 164-165.
41
Programma dell’Associazione Nazionale Italiana, in Scritti politici, cit., pp. 567-
570.
42
P.-J. PROUDHON, Lettera a Giuseppe Giglioli, 21/7/1831 e Lettera a Benelli,
1/8/1831, ed. naz., V, rispettivamente pp. 33-34 e 59.
43
Saggio sulla storia della società civile, Firenze 1973, II, cap. 2.
44
Il diritto dei popoli, tr. it.,Torino 20012, pp. 165-171.
45
G. CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, III, Milano 1979, pp. 58-61.
46
Fede e avvenire, in G. SANTONASTASO, M. ROLLI, Op. cit., pp. 105-107.
47
La santa alleanza dei popoli, cit., pp. 660-663.
48
F. CHABOD, L’idea di nazione, Bari 1974, pp. 122-1239.
49
Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt a.M. 1959, p. 1628.
50
L’iniziativa, in Scritti politici, cit., pp.1001-1004.
51
Per tutti questi aspetti si veda C. CARBONARA, Op. cit., pp. 70-73.
52
Cfr. L. SIEDENTOP, Op. cit., pp. 142-143.

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