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Dalla «scuola per signorine» alla «scuola delle padrone» :


il Liceo femminile della riforma Gentile e i suoi precedenti storici *

Eleonora Guglielman

Premessa

Le storie della scuola che riguardano il periodo fascista e la riforma Gentile si soffermano
poco sul Liceo femminile, la cui attività durò il breve arco di tempo intercorso fra il 1923 e il 1928,
e che per lo scarsissimo numero di allieve rappresentò un esperimento fallimentare nella politica
scolastica del regime; eppure è un illuminante esempio della concezione fascista di istruzione
femminile nella generale prospettiva di ristrutturazione del sistema scolastico, in quanto scuola che,
soddisfacendo il bisogno di dare alla donna un’istruzione separata da quella maschile, la escludeva
dagli studi superiori compiendo nell’arco di tre anni un percorso senza sbocchi. Accanto ad essa
veniva istituita l’altra scuola «di scarico», la complementare, creata per accogliere parte della
popolazione scolastica esclusa dagli studi classici, riservati alla formazione della futura classe
dirigente, e incanalare in un percorso breve e di modesto sapere la folla di studenti che non poteva
permettersi di proseguire gli studi a livello superiore.
Gentile tentò di dimostrare di aver realizzato le istanze che da tempo si facevano sempre più
pressanti di una scuola femminile di cultura disinteressata, «adatta ai bisogni intellettuali e morali
delle signorine» nel quadro di «un organismo, in cui potessero essere largamente soddisfatte tutte le
giuste esigenze della cultura nazionale»1 . In realtà questa scuola, dileggiata dai contemporanei e
trascurata negli studi successivi, era stata creata con il preciso scopo di stornare le iscrizioni
dall’istituto magistrale, ormai sovraffollato in quanto l’unico in grado di offrire alle donne una
discreta cultura generale, e salvaguardare al tempo stesso le scuole ritenute più adatte alla

* Saggio già pubblicato nel volume collettaneo Da un secolo all’altro. Contributi per una “storia dell’insegnamento
della storia” (a cura di M. Guspini), Roma, Anicia, 2004, pp. 155-195. Una parte del lavoro è stata in precedenza
pubblicata, con alcune varianti, sulla rivista “Scuola e Città” con il titolo Il liceo femminile 1923-1928 (a. LI, n. 10,
ottobre 2000, pp. 417-431.
1 G. Gentile, Il rinnovamento della scuola, in La riforma della scuola in Italia, Milano-Roma, Treves-Treccani-

Tumminelli, 1932, pp. 211-212.


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popolazione maschile, vale a dire il liceo classico e l’istituto tecnico, da una «femminilizzazione
della scuola»; tutto questo mentre si diffondeva, sia in Italia sia all’estero, il principio della
coeducazione dei sessi, e veniva affermandosi l’idea della parità fisica e intellettuale fra la donna e
l’uomo. Era dunque un’istituzione di stampo conservatore e retrogrado, che tendeva a relegare la
donna in un ruolo subalterno considerandola incapace di intraprendere studi superiori e dedicarsi a
una professione come avveniva per gli uomini; di più, era una scuola borghese, pensata per le
signorine di buona famiglia che non avevano interesse a proseguire gli studi né la necessità di
prepararsi a un mestiere - per queste ultime era sufficiente la scuola complementare - e per le quali
l’educazione poteva limitarsi a un’infarinatura di nozioni umanistiche completata con lavori
femminili, economia domestica, lezioni di musica e danza; tutto ciò, insomma, che poteva servire
da ornamento in un salotto.
Secondo la lettura di Marzio Barbagli la riforma Gentile fu la risposta reazionaria allo
scompenso che esisteva tra scuola e mercato del lavoro e che generava una sovrapproduzione di
forze intellettuali2 ; fra queste ultime era sempre più rilevante la presenza delle donne nelle scuole
secondarie e nelle Università3. Il sistema a ostacoli rappresentato dai numerosi esami introdotti fra
un anno e l’altro dei vari corsi, la crescente difficoltà dei programmi e la drastica riduzione di
scuole, nonché la limitazione degli accessi agli studi universitari furono le misure che dovevano
chiudere le lunghe carriere scolastiche alle masse per riservarle alla classe dirigente; per opporsi alla
femminilizzazione nelle scuole fu pensato un sistema di segregazione culturale che era espressione
di un più vasto disegno discriminante, e che in campo scolastico doveva raggiungere l’apice con
l’esclusione delle donne da alcuni insegnamenti nelle scuole secondarie4.

«Varrà allo storico il Liceo femminile, nuovamente istituito secondo la riforma Gentile, quale
sintomo e simbolo delle psicologie dominanti al tempo dell’avvento fascista. Con delicatezza di
cuore vi vagheggiano infatti umanisti e cortigiani, musiche e danze» 5.

Queste le parole di Gobetti, nei giorni che seguirono l’entrata in vigore della riforma; ma già
subito dopo la soppressione del Liceo femminile, avvenuta nel 1928, le varie storie della pedagogia
e delle istituzioni scolastiche pubblicate durante il fascismo tendevano a tacerne l’esistenza: anche

2 M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia (1959-1973), Bologna, Il Mulino, 1974, pp.159
ss.
3 V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993, p. 208.
4 RD 9 dicembre 1926, n. 2480.
5P. Gobetti, La scuola delle padrone, dei servi, dei cortigiani, “La Rivoluzione Liberale”, a. II, n. 13, 8 maggio 1923, p.
53.
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sull’Enciclopedia Italiana (1933) troviamo delle scarne menzioni, che non offrono a riguardo
alcuna informazione6 . Fa eccezione il testo, edito nel 1941 dal Ministero dell’Educazione
Nazionale, Dalla riforma Gentile alla Carta della scuola7 , in cui si delinea una storia del Liceo
femminile, nel tentativo di dimostrarne la continuità con le proposte di scuole femminili
all’indomani della legge Casati, che in realtà sfociarono solo in parte nella realizzazione gentiliana.
Le origini di questa scuola definita «liceo», ma che del liceo aveva ben poco, possono essere
ricostruite a partire dai collegi ed educandati già esistenti negli stati preunitari, i cui programmi,
tranne che per le innovazioni gentiliane, quali l’introduzione del latino e della filosofia, erano
abbastanza simili; un’istituzione analoga era presente nell’Impero austroungarico, dove i Licei
femminili, che davano una preparazione culturale e professionale, erano molto frequentati, e
sarebbero stati ripresi e trasformati da Gentile che, come vedremo, li aveva trovati nelle terre
redente8 . Nelle intenzioni di Gentile c’era, probabilmente, la volontà di creare una scuola che, con
l’andar del tempo, si sostituisse ai convitti e gli educandati religiosi che detenevano il monopolio
dell’istruzione per le giovinette; ma questa scuola che, nel suo anacronismo, strideva perfino con
l’idea che del ruolo femminile aveva il fascismo, non superò mai, se non di pochissimo, il centinaio
di iscritte. Osserva Victoria De Grazia, in un suo studio sulle donne e il fascismo, che la riforma
esprimeva la contraddittoria visione della donna nel regime: «come riproduttrici della razza le
donne dovevano incarnare i ruoli tradizionali, essere stoiche, silenziose, e sempre disponibili; come
cittadine e patriote, dovevano essere moderne, cioè combattive, presenti sulla scena pubblica e
pronte alla chiamata9». Ma la signorina che nel Liceo femminile suonava il pianoforte, leggeva i
classici latini e ricamava vestine di neonato, ricalcando un arcaico ideale di educazione
aristocratica, era assai distante sia dalla figura di “fattrice” sia da quella di patriottica fascista.

6 L. Severi, Italia - Educazione. Ordinamento scolastico, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, 1933, vol. XIX, p. 788; G. Calò, Scuola. Scuola
femminile, ivi, vol. XXXI, p. 254a.
7 Ministero dell’Educazione Nazionale (MEN), Dalla riforma Gentile alla Carta della scuola, Firenze, Vallecchi, 1941.
8 Le trattazioni più estese che riguardano il Liceo femminile non sono molte: oltre alla succitata pubblicazione del
MEN, che dedica al liceo alcune pagine, rammentiamo la voce ad esso relativa nel Dizionario delle Scienze
Pedagogiche diretto da Giovanni Marchesini (G. Sangiorgio, Liceo femminile, in Dizionario della Scienze Pedagogiche,
Milano, Soc. Editrice Libraria, 1929, vol. I, pp. 850-851); in entrambe si forniscono alcuni dati sui progetti di scuole
femminili che precedettero la sua creazione. Per trovare altre notizie esaurienti bisogna arrivare agli anni ’70, con la
voce di D. Marchetta Liceo femminile, nell’Enciclopedia Italiana della Pedagogia e della Scuola, diretta da M. F.
Sciacca, Roma, Curcio, 1970, vol. III, pp. 483-484, che malgrado alcune inesattezze ha il merito di offrire, unica fra le
opere contemporanee di consultazione, una serie di informazioni storiche utili a iniziare una ricerca. Manca, purtroppo,
una storia completa, dalle origini ai nostri giorni, dell’istruzione femminile: sono numerosi gli studiosi - e in particolare
le studiose - che si sono occupati, a vario titolo, delle singole realtà locali degli istituti in articoli e saggi di breve
respiro, dando un pregevole contributo alla ricerca storica; ma abbiamo l’impressione che quello dell’istruzione della
donna rimanga tuttora uno dei “silenzi dell’educazione”.
9 V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, cit., p. 204.
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L’istruzione femminile negli Stati preunitari

Nel 1859, alla vigilia dell’Unità d’Italia, il Regno di Sardegna promulgava la legge che
regolamentava il sistema d’istruzione e che, estesa l’anno successivo a tutto il Regno d’Italia,
sarebbe stato fondamento pressoché immutato della struttura scolastica fino al fascismo. La legge
Casati, così denominata dal ministro della Pubblica Istruzione che l’aveva proposta10, provvedeva a
colmare il vuoto legislativo che aveva accomunato tutti gli stati preunitari dedicare scarsa
attenzione all’istruzione secondaria ritenendola una questione di marginale importanza a fronte
della necessità di porre un freno all’analfabetismo tramite l’istituzione di scuole primarie e popolari;
la fondazione e la gestione delle scuole secondarie, in particolare ginnasi e licei, era perciò ceduta a
un’iniziativa privata, il più delle volte ecclesiastica, che permetteva l’accesso all’istruzione di un
certo livello esclusivamente a ristrettissime élites della popolazione11 .
Per tutta la prima metà dell’Ottocento le riforme in campo scolastico furono legate agli
eventi politici: la Restaurazione aveva frenato i tentativi di innovazione sviluppatisi sulla scia della
Rivoluzione e nell’età napoleonica, e la faticosa ripresa di nuove iniziative e di progetti fu
vanificata dalla seconda ondata reazionaria che seguì ai moti del ‘48. È pur vero che in tutti gli Stati
si era diffuso il metodo lancasteriano basato sul mutuo insegnamento, che veniva applicato in
Inghilterra già dal 1798, ed erano sorte in diversi centri scuole agrarie e scuole di arti e mestieri, ma
si trattava di proposte sovente isolate ed effimere che non rientravano in un piano educativo dei
governi; e inoltre l’istruzione era di competenza dei ministeri degli Interni, non esistendo ancora i
ministeri della Pubblica Istruzione.
In questo scenario l’istruzione femminile occupava una posizione ancor più accessoria, dove
l’educazione delle giovinette era affidata a collegi e convitti femminili, molti dei quali privati e retti
da congregazioni religiose. Alla vigilia dell’unificazione troviamo in attività, nel Regno delle
Sicilie, i Collegi di Maria, fondati nel 1734 su iniziativa del cardinale Corradini, l’Educandario
Carolino di Palermo, fondato da Ferdinando IV nel 1779, a Napoli l’Educatorio Principessa Clotilde
ai Miracoli, fondato nel 1808 e l’Educatorio Regina Maria a S. Marcellino, fondato nel 1810; nel

10 RD 13 novembre 1859, n. 3725.


11 L’analfabetismo in Italia raggiungeva attorno al 1850 tassi del 75-80% (tra i più alti in Europa); il censimento del
1861 lo avrebbe attestato al 78%. Cfr. G. Cives, La scuola elementare e popolare, in G. Cives (a cura di), La scuola
italiana dall’Unità ai nostri giorni, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 55.
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Lombardo-Veneto il Collegio Reale delle Fanciulle a Milano e il Regio Collegio degli Angeli a
Verona, istituiti da Napoleone rispettivamente nel 1808 e 1812; nel Granducato di Toscana l’Istituto
della SS. Annunziata a Firenze, fondato nel 1823, che vantava Gino Capponi fra i suoi promotori12.
Nel Regno di Sardegna un primo tentativo di creare scuole femminili governative si ebbe nel 1846,
con le Regie Lettere Patenti del 13 gennaio che regolamentavano l’istruzione femminile, fino allora
delegata a iniziative private e caritatevoli; in esse era definita l’istruzione da impartirsi nelle scuole
femminili, si stabilivano le norme per l’apertura di scuole pubbliche, si imponeva alle aspiranti
maestre l’obbligo di sostenere un esame di idoneità e si determinavano vigilanza e ispezione delle
scuole femminili da parte degli uffici governativi13 .
La prima legge organica sull’istruzione era stata la legge Boncompagni, emanata nel 1848
nel Regno di Sardegna14 . Essa stabiliva che l’istruzione secondaria avesse la durata di sette anni e si
articolasse in tre livelli: un triennio di grammatica e due bienni, l’uno di retorica e l’altro di
filosofia, al termine dei quali si poteva accedere alle facoltà universitarie; accanto ad essi si istituiva
un corso sperimentale di cinque anni, per chi non aspirava all’istruzione universitaria, che dal 1853
fu denominato «scuola tecnica» e che preparava all’esercizio delle professioni15 . La legge
riguardava per lo più l’ordinamento amministrativo e gerarchico della scuola e poco si soffermava
sui programmi d’insegnamento.
Nel 1850 il ministro della Pubblica Istruzione Cristoforo Mameli16 sottopose alla Camera un
progetto di legge sull’istruzione femminile, proponendolo come «l’ultimo risultato delle lunghe e
profonde meditazioni del Consiglio superiore per la pubblica istruzione» e che doveva, nelle sue
intenzioni, rimediare alle misere condizioni in cui si trovava l’educazione delle fanciulle,
«abbandonata al buon senso dei direttori e delle monastiche congregazioni» anziché regolata da una

12M. G. Giovannini, Educatorii Regi Nazionali, in Dizionario Illustrato di Pedagogia diretto da A. Martinazzoli e L.
Credaro, Milano, A. Vallardi, 1892-1903, vol. I, pp. 506-509. Negli Educatori regi nazionali erano ammesse fanciulle
dai 6 ai 12 anni, a volte 18.
13 In tali Patenti si dichiarava che l’istruzione femminile aveva lo scopo di preparare “spose e madri degnamente
rispondenti degnamente rispondenti all’alta loro vocazione”, ossia essere guide e custodi delle nuove generazioni e
mantenere integra e solida la struttura della famiglia. A tal fine si invitavano le autorità municipali, scolastiche ed
ecclesiastiche “a promuovere con tutti gli sforzi la fondazione di scuole primarie femminili in tutti i Comuni secondo il
grado di loro forze e l’estensione de’ rispettivi bisogni”. I. Picco, I precedenti italiani, storici e legislativi, della legge
Casati, “I problemi della pedagogia”, a. V, n. 1, gennaio-febbraio 1959, pp. 63n.
14Il Ministero dell’Istruzione Pubblica era stato istituito un anno prima, con una legge contenuta nelle Regie Lettere
Patenti di Carlo Alberto del 30 novembre 1847.
15L. Ambrosoli, La scuola secondaria, in G. Cives (a cura di), La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, Firenze,
La Nuova Italia, 1990, p. 109.
16Cristoforo Mameli (1759-1872) fu deputato al Parlamento Subalpino dal 1848 e ministro dell’Istruzione Pubblica nel
1850, con D’Azeglio.
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serie sistematica di leggi e programmi17 . Nel progetto era previsto che l’istruzione elementare fosse
impartita in due corsi, quello inferiore, in cui erano insegnati i primi rudimenti del leggere, scrivere
e far di conto a tutte le allieve, e quello superiore, destinato alle fanciulle di «agiata condizione»,
con un programma leggermente più esteso18; l’istruzione secondaria femminile era invece affidata
alla scuola normale, concepita come scuola di cultura generale oltre che scuola per allieve maestre.
Anche le scuole normali erano divise in due corsi, che preparavano all’insegnamento
rispettivamente per il corso elementare inferiore e per quello superiore; le materie comprendevano,
oltre a quelle impartite anche nelle scuole elementari, letteratura italiana, nozioni di geometria,
fisica, chimica e filosofia morale, più il metodo d’insegnamento. L’istruzione elementare era
gratuita, dovendovi provvedere i Comuni; ma non era di fatto obbligatoria, poiché non erano
previste sanzioni in proposito. L’organizzazione scolastica così disegnata fu poi realizzata, per
quanto riguardava la creazione di scuole normali, dalla legge Lanza del 1858, in cui si
distinguevano scuole maschili e scuole femminili; esse, però, erano sempre legate alla scuola
elementare e non erano riconosciute come secondarie19 .

L’istruzione femminile dopo la legge Casati e la Scuola normale

Nel 1859, mentre era in corso la Seconda guerra d’indipendenza, il governo del Regno di
Sardegna varò in regime di pieni poteri la legge Casati, estesa all’indomani dell’unificazione a tutto
il Regno d’Italia20 . Nella struttura scolastica da essa delineata, oltre ad essere previsto l’obbligo
d’istruzione elementare sia per i maschi sia per le femmine, veniva stabilito che l’istruzione
secondaria si dovesse impartire nei ginnasi-licei, nelle scuole e istituti tecnici e nelle scuole normali.
La legge permetteva esplicitamente alle ragazze di accedere alle sezioni femminili delle scuole
normali, ma non si prevedeva - anche se in tutto il testo non era formalmente proibito - che

17 Atti del Parlamento Subalpino, Camera, leg. IV, Documenti, 8 maggio 1850, p. 635.
18 Nel corso inferiore si insegnavano i fondamenti del leggere, scrivere e far di conto e i lavori donneschi accanto
all’istruzione religiosa, che aveva un ruolo fondamentale; nel corso superiore si aggiungevano elementi di calligrafia,
disegno, storia e geografia, storia naturale e fisica.
19 L. 20 giugno 1858, n. 2878, Sulla istituzione di scuole normali nel Regno Sardo ; cfr. I. Picco, I precedenti italiani,
storici e legislativi, della legge Casati, cit., pp. 1-76. Le scuole normali non avevano neppure il corso inferiore, che fu
istituito dal ministro Gianturco nel 1896 (L. 12 luglio, n. 293); fino alla riforma Gentile non fu ad esse riconosciuto il
carattere di secondarietà.
20 È interessante notare che le più importanti leggi scolastiche furono emanate dal governo in pieni poteri, senza
discussione parlamentare: è quanto accadrà alcuni decenni più tardi, con la riforma Gentile, e d’altronde anche per la
legge Boncompagni era avvenuto lo stesso.
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frequentassero licei ed istituti tecnici. Accanto alle scuole normali, i luoghi designati in cui si
compiva l’istruzione femminile continuavano ad essere educatorii e collegi, sia privati sia pubblici,
e gran parte di questi ultimi furono oggetto, nei primi anni del Regno, di una generale
riorganizzazione. Nel 1867 erano stati posti sotto la dipendenza del Ministero della Pubblica
Istruzione i Conservatori della Toscana; nel 1871 furono riorganizzati i Collegi di Maria in Sicilia, e
successivamente gli educatorii di Verona, Firenze, Palermo, Milano, Napoli21. Erano, queste, da
principio scuole disinteressate e mirate a fornire una variegata cultura che includeva gli
insegnamenti di lingue, religione, lavori femminili, musica, canto e danza, e nello stesso tempo
offrivano una preparazione professionalizzante che dava titolo all’insegnamento; in seguito si
evolsero divenendo sempre più simili alle scuole normali, con un fine dichiaratamente pratico. Un
segno concreto di interesse per l’istruzione femminile si ebbe quando, nel 1861, fu aperta a Milano
per iniziativa del Comune la scuola superiore femminile «A. Manzoni», che oltre a voler formare
fanciulle «colte e gentili» e madri «sapientemente e modestamente virtuose» si prefissava un
obiettivo più precipuamente concreto, la preparazione agli studi superiori per conseguire un
diploma: a tale scopo nei programmi fu inserito lo studio del latino, e in più era data una
preparazione agli esami di ammissione ai corsi di lingue e letterature straniere nella Regia
Accademia Scientifico Letteraria di Milano 22. Vi erano ammesse le allieve munite di licenza
elementare e vi si insegnavano l’italiano e il francese, una terza lingua a scelta (inglese o tedesco),
storia, geografia, aritmetica e contabilità, scienze naturali e igiene, morale, storia dell’arte e
disegno, lavoro e lettura ad alta voce23 . Nel 1911 fu introdotto un corso di Perfezionamento di tre
anni, al termine del quale era rilasciato un titolo di studio che a partire dal 1914 venne equiparato
alla licenza liceale agli effetti del conseguimento del diploma di grado superiore per
l’insegnamento delle lingue straniere alla Regia Accademia. Il corso ordinario, salito a sette anni,

21 L’ Educandario Carolino di Palermo fu riordinato nel 1863 e convertito in istituto nazionale, col nome di Regio
Educatorio Maria Adelaide; a Milano nel 1864 fu rivisto lo statuto del Collegio Reale delle Fanciulle; a Verona il Regio
Collegio agli Angeli fu riformato nel 1868; l’Istituto della SS. Annunziata, a Firenze, fondato nel 1823, ebbe nel 1890,
in comune con gli altri tre istituti, un nuovo statuto organico. Le materie che vi si insegnavano, stabilite dallo statuto
erano le seguenti: religione, morale, doveri e diritti della donna ; lingua italiana e storia letteraria in rapporto con le
letterature classiche e straniere moderne ; lingua francese; lingua inglese o tedesca; cenni di storia antica e medioevale,
la storia moderna e del risorgimento nazionale, geografia politica e nozioni di statistica; aritmetica, geometria e
contabilità domestica; fisica e nozioni di chimica, scienze naturali e geografia fisica, igiene e medicina domestica;
principii di economia domestica, norme per il governo della casa e per l’istruzione della famiglia; lavori femminili di
ogni genere in uso; ginnastica educativa e ballo; canto corale e pianoforte. M. G. Giovannini, Educatorii Regi
Nazionali, cit., pp. 506-509.
22R. Truffi, Per l’istruzione della donna in Italia (la scuola media femminile), in “Annali della Istruzione Media”, a. II,
quad. VI, 25 giugno 1927, p. 514.
23 Milano (Istruzione comunale), in Dizionario Illustrato di Pedagogia diretto da A. Martinazzoli e L. Credaro, cit., vol.
III, pp. 711-712.
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dalla quinta classe si sdoppiava in due sezioni, quella di cultura generale e quella di cultura classica,
che prevedeva l’insegnamento del latino24.
Sull’esempio della scuola milanese ne sorsero successivamente una a Torino, la Scuola
Superiore «Regina Margherita» istituita nel 1864, e una a Roma, la «Erminia Fuà Fusinato»,
trasformata in scuola normale e poi pareggiata, e le scuole di Bologna e Venezia; erano tutte scuole
istituite dai Comuni, senza sovvenzioni statali.
La legge Casati prevedeva l’istituzione di nove scuole normali per i maschi e altrettante per
le allieve maestre, strutturate in un biennio destinato alla formazione degli insegnanti di corso
elementare inferiore, e un triennio che preparava all’insegnamento nel corso superiore. Gli
insegnamenti impartiti erano lingua ed elementi di letteratura nazionale, elementi di geografia
generale, geografia e storia nazionale, aritmetica e contabilità, elementi di geometria, nozioni
elementari di storia naturale, fisica e chimica, norme elementari di igiene, disegno lineare e
calligrafia, pedagogia. I programmi per gli allievi maestri erano completati da un corso elementare
di agricoltura e brevi cenni sui diritti e doveri dei cittadini in relazione allo Statuto, alla legge
elettorale e all’amministrazione pubblica; negli istituti femminili, invece, c’erano, com’è facile
immaginare, i lavori donneschi, ma l’innovazione degna di rilievo era che si stabilivano programmi
uguali per i maschi come per le femmine, diversamente da quanto la discriminazione culturale fra i
due sessi era andata operando in precedenza25 . Le scuole normali, in particolare quelle femminili,
furono inizialmente poco frequentate, poiché la classe borghese era restia ad accettare che le donne
uscissero dalla famiglia per dedicarsi a un lavoro, sia pure di tipo intellettuale, e le classi più povere
non potevano permettersi di sostenere l’onere economico comportato dagli studi delle fanciulle. Fu
intorno agli ultimi due decenni del secolo che, con l’affermarsi di un ceto intermedio, le donne
iniziarono a frequentare le scuole, dapprima quelle professionali e normali, in seguito tutte le altre26.
In breve tempo le scuole normali divennero le più frequentate dalle giovinette, sulla base di un
retaggio culturale che indicava quello di maestra come il mestiere più confacente a una donna, e
anche perché era l’unico, in definitiva, cui le porte le venissero spalancate, essendo ormai pochi gli
uomini che vi aspiravano, visto il pessimo trattamento economico.

24 Tale corso fu soppresso nel 1925-26 e sostituito con un corso ginnasiale.


25D. Bertoni Jovine, Funzione emancipatrice della scuola e contributo della donna all’attività educativa, in Società
Umanitaria, L’emancipazione femminile in Italia. Un secolo di discussioni 1861-1961, Firenze, la Nuova Italia, 1963, p.
228.
26A.Santoni Rugiu, Ideologia e programmi nelle scuole elementari e magistrali dal 1859 al 1955, Firenze, Manzuoli,
1980, pp. 28-29.
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Come più tardi deplorava Clelia Fano, apostola dell’emancipazione femminile: «Le Scuole
Normali rappresentano la sola cultura ufficiale che lo Stato somministri alla grande maggioranza di
quelle donne, le quali vogliono, con relativa poca spesa e tempo, conquistare una professione; sì che
tali scuole si possono dire il grande focolare produttore del proletariato intellettuale femminile».
Scuole insufficienti, dal momento che la cultura da esse fornita era eccessivamente letteraria,
antiquata e di totale inutilità nella vita pratica e professionale della donna27. La Fano auspicava
dunque la creazione di scuole professionali femminili, che preparassero le donne a svolgere lavori
di utilità sociale e ad affrontare le concrete difficoltà della vita e del mondo del lavoro - qualcosa di
più di una frivola educazione da salotto 28. Le scuole professionali femminili, in realtà, esistevano
(insieme alle scuole commerciali femminili se ne contavano 26 nell’anno scolastico 1903-904,
epoca in cui la Fano scriveva, quindi in lieve aumento rispetto alle 16 degli anni 1885-86 e
1898-99)29, ma non rispondevano alle esigenze messe a fuoco dall’Autrice, la quale non accettava
una «professionalità» finalizzata a creare mogli e madri relegate al focolare domestico 30. Contro
l’insufficienza della scuola normale si levavano anche le critiche di Anita Dobelli Zampetti,
esponente della Federazione Nazionale Insegnanti di Scuole Medie, che non esitava a definirle
«vero reato pedagogico» in quanto accozzaglia di cultura, specializzazioni, tirocinio e materie
varie, e che caldeggiava la creazione di scuole femminili di cultura, considerato che le donne che si
dedicavano a una professione erano un’esigua minoranza31 .

27C. Fano, il femminismo e la Cultura della Donna in Italia. Conferenza detta alla Università Popolare di Reggio
Emilia, Mantova, Baraldi e Fleischmann, 1904, pp. 5-6. Per un profilo della Fano cfr., di A. Petrucci, La Scuola
Normale “Principessa di Napoli” fra positivismo e femminismo, in G. Genovesi, L. Rossi (a cura di), Educazione e
positivismo tra Ottocento e Novecento in Italia, Ferrara, Corso, 1995, pp. 125-133.
28C. Fano, L’educazione complementare professionale popolare femminile, in III Congresso di educazione femminile,
Milano, settembre 1906, Reggio Emilia, Soc. Cooperativa fra lavoranti tipografi, 1906, pp. 6-8.
29 G. Castelli, L’istruzione professionale in Italia, Milano, Vallardi, 1915, pp. 76-77.
30 E’ interessante la lettura di un opuscolo firmato dal pedagogista Salvatore Romano, Della cultura e delle professioni
che si addicono alle donne (Palermo, Ufficio Tip. di Michele Ambrosi, 1882) in cui l’Autore teorizzava l’utilità di una
formazione femminile che includesse anche le discipline scientifiche ed elencava le scuole professionali a suo parere
più significative, in quanto tutte miravano «a rendere le donne esperte nell’economia domestica e ne’ lavori riserbati
esclusivamente al loro sesso». Sono elencate le scuole professionali femminili di Milano, Roma e Bologna; l’istituto
industriale e professionale di Torino; la scuola femminile industriale di Genova e la scuola completiva e professionale di
Palermo. Romano, pur sostenendo la necessità di dare alla donna una cultura “adeguata”, viste le insufficienze del
sistema scolastico dell’epoca, era dell’idea che tale cultura dovesse rispecchiare le qualità “fisiche, intellettive e morali”
che la distinguevano dall’uomo; accentuava inoltre le differenze sociali nell’ambito dello stesso sesso femminile: non si
doveva dare una cultura troppo elevata alle fanciulle del popolo, per le quali era sufficiente l’istruzione elementare,
mentre le rampolle di famiglie colte e ricche meritavano un’ampia istruzione letteraria e scientifica. Concludeva che la
donna doveva lavorare in casa, anziché realizzarsi tramite sbocchi professionali all’esterno (ivi, pp. 24-25). Sulle
scuole professionali femminili v. anche F. Hazon, Storia della formazione tecnica e professionale in Italia, Roma,
Armando, 1991, pp. 65 ss.
31 A. Dobelli Zampetti, Della educazione femminile in Italia, Assisi, Tip. Metastasio, 1912, pp. 11 ss.
10

Nel 1876 furono istituite le Scuole di Magistero, che rilasciavano diplomi speciali
d’insegnamento32; due anni più tardi il ministro Pubblica Istruzione De Sanctis fondò due Istituti
Superiori Femminili di Magistero a Roma e a Firenze, con l’obiettivo di formare insegnanti di
scuole professionali e scuole normali femminili33. Il titolo di ammissione era la licenza di scuola
normale; alla fine del primo biennio le allieve conseguivano la qualifica di istitutrici e dopo il
secondo, di specializzazione, ottenevano il diploma d’insegnamento in lingua e letteratura italiana,
storia e geografia, pedagogia e morale, lingue straniere. Nel 1874 il Regolamento Bonghi34 aveva
consentito l’accesso delle donne all’Università, riscuotendo l’approvazione di Antonio Labriola, che
nel suo scritto L’Università e la libertà della scienza annoverava l’innovazione fra i pregi
dell’Università italiana:

«Ed ecco che da noi, invece, le donne furono ammesse di pieno diritto all’Università già
ventidue anni fa, con un semplice regolamento, che non fu mai contestato, nemmeno dai
conservatori estremi. Ne fu autore il ministro Bonghi, che nessuno chiamerà mai un radicale; e,
anzi, fu tutta sua vita il dottrinario per eccellenza della parte moderata. Che si sappia, la statua
della Scienza non ha dovuto velarsi per tale profanazione. Le donne venute alle nostre scuole
nella qualità di veri e propri studenti, poche di numero, ma non certo per impedimento nostro,
non han finora spostato l’asse del così detto mondo etico» 35.

L’ammissione definitiva delle donne ai licei e agli istituti tecnici si sarebbe avuta solo alcuni
anni più tardi, nel 1883; nel 1879 il rifiuto di due presidi di Roma e Vicenza di accettare l’iscrizione
di alcune giovinette nei loro licei, mentre nelle città di Bologna, Torino, Cuneo e Napoli le allieve
erano tranquillamente ammesse, provocò un caso la cui eco giunse fino in Parlamento. Il 5 maggio
di quell’anno l’onorevole Arisi interrogò alla Camera il ministro Coppino sull’avvenuto, facendo
presente che nessuna normativa impediva alle donne l’accesso ai licei. Il ministro rispose che egli
stesso, alcuni anni prima, aveva caldeggiato con il ministro della Pubblica Istruzione Scialoja
l’ammissione delle fanciulle nelle scuole maschili, e nella medesima seduta presentò il disegno di
legge che vedremo più avanti, in cui progettava l’istituzione di scuole femminili36 .

32 RD 8 ottobre 1876, n. 3434.


33RD 16 dicembre 1878, n. 4684. Precedentemente le donne potevano ottenere il diploma sostenendo speciali esami
abilitanti presso le facoltà universitarie. Secondo D. Bertoni Jovine, l’Istituto Superiore Femminile di Magistero
nasceva con lo scopo di dare alle donne un’istruzione separata, scoraggiando la promiscuità in licei e università: cfr. D.
Bertoni Jovine, Funzione emancipatrice della scuola e contributo della donna all’attività educativa, cit., p. 247.
34 RD 29 settembre 1874, n. 2299.
35Cfr. A. Labriola, L’Università e la libertà della scienza, in Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino,
Utet, 1981, p. 595.
36 AP, Camera, Leg. XIII, Discussioni, 5 maggio 1879.
11

Nel 1896 venne attuato il riordinamento della scuola normale e fu istituita la scuola
complementare, risultandone così una scuola femminile di sei anni scanditi in due corsi triennali, il
complementare e il normale. A ciascuna scuola normale femminile erano congiunti un giardino
d’infanzia, un corso elementare per l’esercizio del tirocinio e una scuola complementare la cui
licenza consentiva l’iscrizione sia alle scuole normali che agli istituti tecnici; alla scuola
complementare si accedeva con la licenza elementare o previo il superamento di un esame di
ammissione, e gli insegnamenti in essa impartiti erano lingua italiana, storia d’Italia, geografia,
elementi di matematica, di scienze fisiche e naturali e d’igiene, lingua francese, disegno, calligrafia,
ginnastica e ancora una volta i lavori donneschi.37

Dibattiti e progetti del secondo Ottocento

Una voce autorevole che nel secondo Ottocento si levò a favore dell’istruzione femminile fu
quella di Aristide Gabelli38 . Il pedagogista positivista, che aveva dalla sua una fervida attività svolta
all’interno delle istituzioni scolastiche, si dedicò più volte all’analisi di questa tematica
dimostrandosi senz’altro all’avanguardia rispetto a molti altri pensatori del suo tempo, come risalta
nell’articolo L’Italia e l’istruzione femminile pubblicato nel 1870 su «Nuova Antologia». In esso
poneva in luce come la necessità di un’istruzione femminile fosse resa ormai urgente dalle mutate
condizioni sociali e politiche, che non permettevano più che la donna rimanesse esclusa dalla
partecipazione al progresso civile della nazione: «Il risorgimento di un popolo, fu detto più volte,
incomincia dall’educazione della donna» 39. La donna educata diveniva a sua volta educatrice, anzi,
ricopriva per questo un ruolo predominante in seno alla famiglia. Ma le condizioni dell’istruzione
femminile erano a dir poco arretrate: specialmente nel Mezzogiorno, dove i pregiudizi maschili
facevano ritenere che se le fanciulle avessero imparato a leggere e scrivere se ne sarebbero servite
per spedire lettere d’amore, l’analfabetismo toccava livelli altissimi anche nelle famiglie di agiate
condizioni. Prevaleva la tendenza a iscrivere le proprie figlie in scuole religiose, vista la carenza di
collegi statali, e comunque su una popolazione di 100 fanciulle solo 3 o 4 frequentavano la scuola40 ;

37 Legge 12 luglio 1896 n. 293: riordinamento delle scuole complementari e normali (Gianturco).
38Aristide Gabelli (1830-1891), educatore e pedagogista, ricoprì la carica di provveditore centrale agli studi a Firenze e
successivamente a Roma e capo divisione per l’istruzione primaria e popolare; membro del Comitato Centrale di
Statistica, nel 1886 fu eletto deputato. Autore di numerosi scritti pedagogici, ebbe un’intensa attività nel campo
dell’istruzione; oltre ai progetti di legge, si ricordano i programmi per la scuola elementare del 1888, da lui redatti.
39 A. Gabelli, L’Italia e l’istruzione femminile, “Nuova Antologia”, vol. XV, fasc. IX, settembre 1870, p. 148.
40 Ivi, p. 149.
12

l’unica materia regolarmente coltivata in queste scuole, ove poco si attendeva alla cultura delle
ragazze, erano i lavori donneschi. Emblematica la rappresentazione che Gabelli offriva del pensiero
più diffuso nella società dell’epoca:

«Una donna con un libro in mano, nella fantasia di non pochi, non è più una donna, o almeno è
una donna che lascia di fare quello che dovrebbe, per attendere invece a quello che non
dovrebbe, e rende la stessa immagine di un uomo che dipanasse una matassa di refe, filasse lino
o facesse calze»41.

Se era pur certo che «l’ufficio vero, naturale, evidentissimo della donna è il miglioramento
materiale e morale della famiglia»42 (e in questo Gabelli non si discostava dalle opinioni dei suoi
contemporanei) non c’era ragione alcuna perché l’educazione della donna dovesse differenziarsi da
quella maschile, almeno per quanto riguardava l’insegnamento di storia, geografia, lingue,
matematica, fisica, storia naturale43 ; in più, la donna, in virtù del suo ruolo, doveva occuparsi della
cosiddetta «filosofia domestica», che consisteva in nozioni di economia, fisica e chimica applicate
ai lavori casalinghi, adeguandosi al progresso che aveva introdotto significative innovazioni e
invenzioni nel vivere in casa44.
Quando nel 1875 lo Stato provvide a istituire un corpo di ispettrici che dovevano visitare
educandati, collegi e orfanotrofi, attraverso le loro relazioni si conobbero le condizioni d’istruzione
e d’igiene in cui erano tenute le giovinette, nella maggior parte dei casi a dir poco pietose. Quasi
dovunque dominavano i lavori femminili e domestici mentre lo studio era lasciato in disparte, al
punto tale che le giovani sapevano a malapena leggere e scrivere; in particolare le scuole gestite
dalle monache si trovavano in condizioni paurosamente arretrate, e negli istituti comunali e laici che
ospitavano le più indigenti il sudiciume e la pesantezza dei lavori raggiungevano livelli
preoccupanti45.

41 Ivi, p. 152.
42 Ivi, p. 162.
43 Lasciando agli uomini il privilegio di studiare idraulica, astronomia, diritto romano e calcolo sublime: ivi, p. 155.
44 Ivi, pp. 162-163.
45Cfr. D. Bertoni Jovine, Funzione emancipatrice della scuola e contributo della donna all’attività educativa, cit., pp.
229 ss. A proposito degli istituti femminili nell’Ottocento scrive Simonetta Ulivieri: “In pratica, l’istruzione veniva
chiaramente accantonata, a tutto vantaggio dei lavori donneschi, che acquistavano un netto significato di sfruttamento
negli orfanotrofi, mentre servivano a restringere entro un ambito domestico tutta l’educazione che veniva impartita nei
convitti per signorine agiate” (La donna nella scuola dall’Unità d’Italia a oggi. Leggi, pregiudizi, lotte e prospettive, in
“Nuova DWF”, n. 2, gennaio-marzo 1977, p. 26).
13

Quella dell’istruzione femminile era una tematica cara ai positivisti, che ritenevano che la
scolarizzazione della donna fosse un passaggio indispensabile per il miglioramento della società e
della vita familiare, insistendo su quest’ultima, come dimostra l’importanza rivestita dai lavori
femminili e l’economia domestica nei programmi scolastici e nei progetti d’istruzione. In accordo a
questa tendenza, nel 1879 il ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino presentava in
Parlamento un progetto di legge sull’istruzione secondaria classica, nel quale proponeva la
fondazione di ginnasi e scuole superiori femminili, d’accordo con le province e con i comuni:

«Sarà istituito un ginnasio femminile nelle città dove è un liceo completo. Questo ginnasio si
compone generalmente di tre classi, compie l’istruzione elementare e dà alle giovinette una
conveniente cultura generale. Mediante accordi colle province e coi comuni, il ginnasio
femminile potrà essere istituito nei luoghi dov’abbia sede un liceo inferiore. Nelle maggiori città
del Regno si potranno stabilire, d’accordo colle province e coi comuni, scuole superiori
femminili. A queste scuole potranno aggiungersi insegnamenti speciali per l’ammissione a studi
universitari» 46.

Le materie d’insegnamento erano italiano, geografia, storia, francese, matematica, elementi


di scienze naturali, disegno, calligrafia e lavori donneschi: erano questi ultimi a prevalere, con un
totale di 8 ore settimanali a fronte delle 6 ore di italiano. Ma il ministro era convinto di provvedere,
almeno in parte, alla «educazione scientifica della donna», questione che «non poteva essere
ritardata di molto», come ebbe a sottolineare durante la discussione del bilancio P.I. in Senato
ribattendo il senatore Vitelleschi, il quale giudicava eccessive le somme stanziate per gli istituti
femminili47 . Il progetto prevedeva la fondazione di 79 ginnasi, ma non giunse alla discussione
parlamentare. Furono vani anche i successivi tentativi effettuati da Coppino al Senato nel 1885,
1886 e 1887. Nelle varianti presentate nel 1877 la dicitura «ginnasio femminile» veniva modificata
in «scuola complementare» per non dar luogo all’equivoco che si trattasse di una scuola classica, su
modello di quella maschile, ma le linee del progetto si riproponevano identiche; nella relazione
Coppino sottolineava la necessità di educare la donna in quanto madre e angelo tutelare della casa,
che rappresentava e diffondeva «lo spirito del paese, le sue tradizioni, i suoi desiderii, un largo
senso di generosità e di gentilezza»48. Stavolta le scuole complementari femminili previste erano

46 AP, Camera, Leg. XIII, Discussioni, 5 maggio 1879, Presentazione di un disegno di legge sull’istruzione secondaria
classica, Capo V, art. 7. Michele Coppino (1822-1901), uomo politico e letterato, docente di letteratura italiana
all’Università di Torino, di cui fu anche rettore, ricoprì per quattro volte l’incarico di ministro della P.I. fra il 1867 e il
1888; al suo nome è legata la legge del 1877 sull’obbligo dell’istruzione elementare.
47 AP, Senato, Leg. XIII, Discussioni, 24 marzo 1879.
48 AP, Senato, Leg. XVI, Documenti, 19 novembre 1887, Progetto di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione
Pubblica Coppino: Ordinamento dell’istruzione secondaria classica, stamp. n. 4; Allegato, stamp. n. 4bis. Nel 1885 il
progetto era stato presentato nella seduta del 25 maggio (stamp. n. 191) e nel 1886 nella tornata del 28 giugno (stamp. n.
8), e in entrambi i casi non poté essere discusso a cagione dello scioglimento della Camera.
14

92, a fronte di un eguale numero di licei completi e di 104 licei inferiori; ma l’Ufficio centrale del
Senato si dichiarò contrario. Nella relazione dell’on. Tabarrini si definiva «prematura» l’istituzione
di scuole complementari, se prima non si riconducevano al loro fine originario le scuole normali, le
quali si erano «denaturate» accogliendo fanciulle della borghesia che desideravano istruirsi e che
«[...] trovandosi insieme con le allieve maestre di umile condizione, ne eccitano la vanità e
l’ambizione e le rendono inette ai modesti uffici dell’insegnamento popolare a cui sarebbero
destinate»49: l’articolo che prevedeva la creazione delle scuole complementari e delle scuole
superiori venne così soppresso.
Un’altra proposta, rimasta sulla carta e mai giunta in Parlamento, fu quella elaborata,
sull’impronta della legge francese del 1880 che istituiva i licei femminili50, dal senatore liberale
Giacinto Pacchiotti, il quale nel 1882 pubblicava un breve scritto dal titolo Dei licei femminili in
Italia. Pacchiotti partiva dall’idea che fosse ormai divenuto essenziale dare un’uguale cultura
generale sia ai maschi sia alle femmine, adeguandosi in ciò a quanto da diverso tempo avveniva
all’estero presso le nazioni più «civili» e «colte»:

«Lo spirito del moderno secolo spinge senza posa la moderna società ad assicurare l’istruzione
secondaria alle fanciulle in quella stessa misura con cui viene impartita ai giovinetti. Passarono
quei tristi tempi nei quali si proclamava l’inferiorità intellettuale della donna, le si negava lo
sviluppo cerebrale e la capacità allo studio, la si vedeva ignorante per dominarla più
facilmente»51.

Erano gli anni in cui si andava dibattendo l’assetto definitivo dei due Istituti superiori
femminili di Roma e Firenze, che l’Autore indicava come luoghi di formazione delle future
insegnanti dei licei femminili da lui proposti. Convinto sostenitore dell’accesso delle donne
all’istruzione, Pacchiotti non nascondeva la sua ammirazione per i risultati delle scuole superiori
femminili, attive a Milano, Torino e altre città, che forgiavano fanciulle «colte, serie, le quali nei
saggi pubblici destarono la universale ammirazione», e il suo progetto era un dichiarato tentativo di

49AP, Senato, Leg. XVI, Documenti, 19 gennaio 1888, Relazione dell’Ufficio Centrale sul progetto di legge presentato
dal Ministro dell’Istruzione Pubblica Coppino: Ordinamento dell’istruzione secondaria classica, stamp. n. 4-a.
50 In Francia i collegi e i licei femminili furono istituiti nel 1880, con la legge di iniziativa del deputato Camille Sée. I
corsi, della durata di cinque anni, prevedevano gli insegnamenti di lingua francese, storia, geografia, cosmografia,
matematica, scienze fisiche e naturali, igiene, disegno, due lingue straniere moderne a scelta, morale (con nozioni di
psicologia applicata all’educazione), letterature antiche e straniere, diritto, lavori donneschi, musica e ginnastica.
L’insegnamento religioso era impartito, su richiesta delle famiglie, dai ministri dei diversi culti, al di fuori dell’orario
delle lezioni. Al termine degli studi era rilasciato un diploma.
51 G. Pacchiotti, Dei licei femminili in Italia, Torino, Stamperia dell’Unione Tipografico Editrice, 1882, p.1. Il Pacchiotti
(1820-1893) era medico e professore ordinario di clinica chirurgica propedeutica. Direttore dal 1846 al 1891
dell’Ospedale Valdese, fu anche consigliere comunale di Torino e autore di numerosi studi medici. Alla sua morte
dispose che il suo patrimonio venisse utilizzato per la creazione di nuove scuole municipali modello e per borse di
studio.
15

istituire scuole analoghe a livello secondario, di cui ravvisava la mancanza in Italia, ultima fra i
paesi stranieri, dei quali offriva un quadro comparativo 52. Pacchiotti accoglieva l’ideale positivista
di educazione della donna, affermando però, contro i suoi detrattori, che la parità fra i sessi si
fondava su basi fisiologiche, quindi la donna era intellettualmente uguale all’uomo, se non
addirittura superiore ad esso negli studi. Pur respingendo l’ipotesi di donne impegnate in politica o
nelle professioni di medico e avvocato - e in questo accoglieva un’opinione all’epoca largamente
diffusa53 - attribuiva a una questione di «giustizia sociale» la necessità che in ogni principale città
fosse aperto un liceo femminile analogo a quello maschile . La donna, del resto, andava educata
secondo l’idea che la cultura fosse il miglior rimedio ai mali della vita domestica, oltre che garanzia
di formare fanciulle che fossero apprezzate in società, vantaggiosamente maritate e, cosa essenziale,
modelli di spose e madri. L’istruzione della donna, secondo l’Autore, aveva un ruolo rilevante nel
buon andamento del matrimonio: essa doveva essere in grado di conversare con il marito, il quale,
se non avesse trovato in lei comunanza di interessi e cognizioni, facilmente si sarebbe concesso
evasioni e «distrazioni» fuori di casa; peggio ancora se lei fosse stata educata alla «superstizione»
nelle scuole religiose. «La prima condizione di felicità tra i due coniugi sta nella eguaglianza
d’istruzione e d’educazione. Allora l’uomo presenta altero alla società la sua donna»54. Il ruolo che
più si confaceva alla donna, per la sua sensibilità e intelligenza, era quello d’insegnante; ma non si
doveva trascurare la possibilità che intraprendesse altre carriere di tipo impiegatizio o direttivo,
come del resto si stava verificando in altri paesi.
Il liceo femminile progettato aveva la durata di cinque anni, era di fondazione statale con il
concorso di Comuni e Provincie e ammetteva solo allieve esterne fra i dodici e i diciassette anni,
senza distinzioni di classe; le iscritte pagavano una tassa annua, ma era contemplata la possibilità di
assegnare borse di studio alle fanciulle indigenti più meritevoli. Sfogliando il programma del corso
viene subito in evidenza l’esclusione del latino e del greco, ritenuti affatto inutili alla cultura della
donna, e dell’istruzione religiosa, con la spiegazione che la libertà di culto rendeva contraddittorio
l’insegnamento di una sola religione; era invece insegnata la filosofia morale per tutti gli anni di
corso. Accanto alla lingua e letteratura italiana venivano studiate tre lingue straniere (francese,

52L’A. si diffonde a descrivere la situazione dell’istruzione femminile negli Stati Uniti d’America, in Svizzera,
Germania, Austria, Russia, Olanda, Svezia, Norvegia, Grecia, Turchia.
53 Questo malgrado l’accesso delle donne all’Università fosse consentito dalla legge fin dal 1874 (Regolamento
Bonghi, R D 29 settembre 1874, n. 2299): la prima donna laureata in medicina fu Ernestina Paper, nel 1877 a Firenze.
Cfr. G. Cives, Aristide Gabelli e l’istruzione femminile, in La pedagogia scomoda. Da Pasquale Villari a Maria
Montessori, Firenze, La Nuova Italia, 1994, p. 107.
54 G. Pacchiotti, Dei licei femminili in Italia, cit., pp. 13 ss.
16

inglese e tedesco); seguivano storia, geografia e cosmografia; le materie scientifiche, aritmetica e


geometria, elementi di fisica, chimica, botanica, mineralogia, zoologia e geologia; rudimenti di
anatomia e fisiologia; l’igiene domestica e personale. Un’educazione che doveva essere data in una
scuola, anziché in seno alla famiglia, per la necessità di usufruire dei laboratori e dei musei di
scienze naturali indispensabili agli studi sperimentali. Completavano il corso nozioni di diritto, di
pedagogia, e infine calligrafia, musica, disegno, ginnastica, danza e lavori femminili. Era previsto
che la maggior parte degli insegnamenti venisse impartito da donne, e che in caso di necessità
(ossia: quando non esistessero insegnanti donne sufficientemente preparate) alcune materie
potevano venire insegnate da uomini, con la presenza obbligatoria della direttrice durante le loro
lezioni, al fine di salvaguardare da qualsivoglia sospetto la moralità della scuola. Non mancava
un’aperta polemica nei confronti degli educandati religiosi, in passato unica fonte di cultura per le
giovinette ma ormai decisamente superati e antiquati, mentre l’Autore concedeva una tiepida
approvazione ai collegi laici, purché concepiti secondo lo spirito della modernità. La struttura del
corso era ricalcata su quella dei licei femminili francesi, cui l’Autore faceva frequenti ed
entusiastici richiami nel testo. Al termine del terzo o quarto anno si poteva concludere il corso e
ottenere un attestato, mentre il diploma veniva rilasciato al termine del quinto anno; erano previsti
esami al termine di ogni anno. Era, quindi, quello di Pacchiotti, un ideale educativo decisamente
all’avanguardia, se si pensa che in quegli stessi anni, e ancora nei decenni successivi, si
diffondevano opere che enunciavano, spesso su pretese basi scientifiche55 , l’inferiorità fisica e
intellettuale della donna:

«Quanti proclamano inutile, anzi perniciosa alla donna, alla famiglia, alla società,
quell’istruzione elevata che la moderna civiltà esige in ogni persona a modo! V’hanno uomini e
partiti che giudicano essere più savio consiglio il mantenerla ignorante per averla schiava pei
loro reconditi fini. Essa fu nelle loro mani per lungo tempo uno strumento di imperio che non
vorrebbero lasciarsi sfuggire. Altri vanno più oltre, fino a dichiararla inetta allo studio delle
lettere e delle scienze. Or bene il supporre una differenza cerebrale tra i due sessi, creare un
grado d’inferiorità intellettuale per la donna, affermarla incapace della moderna cultura
generale, è contrario alla fisiologia, all’esperienza secolare, alla verità rivelata da mille esempi
gloriosi per la donna. Laonde il negarle la semplice istruzione secondaria è una ingiuria, una
vera ingiustizia sociale» 56.

55Basti pensare a testi come L’inferiorità mentale della donna di P.J. Moebius (Torino, 1904), o Sesso e carattere di
Otto Weininger ((Torino, 1912), che con le sue idee razziali ebbe grande influenza sulle teorie naziste.
56 G. Pacchiotti, Dei licei femminili in Italia, cit., p. 14.
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Proposte di scuole femminili nel Novecento

L’inizio del nuovo secolo vede ancora in primo piano, nei dibattiti sull’istruzione, la
questione femminile. Le parole di Nunzio Nasi, ministro della Pubblica Istruzione., durante una
seduta del Parlamento non lasciano dubbi sulla sua volontà di voler intervenire a favore delle scuole
per fanciulle:

«La scuola normale, ordinata e riordinata in diverse contingenze, ha gli stessi vizi che
affliggono molti dei nostri istituti di istruzione; vizi ereditati, e quindi invecchiati. Dovrebbe
essere una scuola professionale; ma, come la scuola tecnica, non raggiunge gli scopi di cultura
generale e speciale. La scuola normale dev’essere trasformata in una scuola di cultura
femminile. Noi abbiamo pensato poco all’educazione della donna: facciamo del femminismo
sentimentale ed astratto; ma all’educazione delle donne, all’educazione delle madri,
consacriamo poche e non solleciti cure. Ho ascoltato con piacere le parole dell’onorevole De
Nicolò sulla necessità di riformare gli educandati femminili. È certo che, se si vogliono
promuovere le forze educative della coscienza e del carattere, bisogna pensare alla famiglia, e
soprattutto a chi nella famiglia precipuamente rappresenta un’azione tutelare permanente, cioè
alla madre» 57.

Se il disegno di legge di Coppino era stato respinto in Senato, quello che Nasi, ormai non
più ministro, elaborò pochi anni dopo il dibattito citato, non giunse neppure alla discussione
parlamentare58 . Il progetto, presentato alla Camera il 30 gennaio 1904, proponeva la creazione di un
liceo femminile accanto al già esistente liceo maschile, come quest’ultimo diviso in corso superiore
e inferiore, allo scopo di offrire alle fanciulle una cultura secondaria o prepararle all’insegnamento
nelle scuole elementari. Al termine di quattro anni in comune per tutte, il corso si sdoppiava in due
sezioni, l’una magistrale primaria e l’altra di perfezionamento, entrambe della durata di tre anni;
erano annessi al liceo un corso preparatorio primario, i cui insegnamenti erano «i medesimi del
corso parallelo annesso al liceo maschile, più i lavori donneschi», e un giardino d’infanzia. Nel
corso inferiore si insegnavano italiano, francese, una seconda lingua (inglese o tedesco) facoltativa,
storia, geografia, elementi di matematica, computisteria e scienze, disegno, calligrafia, ginnastica,
lavoro manuale e lavori donneschi (più precisamente: «taglio e cucito; ricamo in bianco ed a
macchina; rammendo; fiori artificiali»). Nel corso superiore, sezione magistrale, si aggiungevano
«pedagogia, morale e nozioni di scienze morali e politiche», nozioni di igiene e di agraria, canto,

57 N. Nasi, Per il riordinamento degli studi. Discutendosi, alla Camera dei Deputati, il bilancio della Pubblica
Istruzione, Roma, 31 maggio 1901, in Per la pubblica educazione. Discorsi, Roma, Tip. Cecchini, 1901, pp. 52-53.
58 Nunzio Nasi (1850-1835), giurista, nato a Trapani, fu deputato per la sinistra liberale dal 1886 al 1926 e ministro
della Pubblica Istruzione dal 1901 al 1903. Accusato di peculato, fu interdetto dalla Camera dal 1908 al 1913; nel 1926,
dichiarato decaduto come deputato, ne uscì definitivamente.
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tirocinio. Nel corso superiore di perfezionamento erano obbligatorie tre lingue straniere; gli
insegnamenti di morale e igiene erano abbinati; completavano il programma di studi musica, canto,
ballo, ginnastica educativa e i lavori femminili (fra i quali ricami in oro e in seta, merletti ad ago e
al tombolo, lavori in maglia, ecc.). Gli insegnamenti erano «di regola» affidati a donne. Il liceo
femminile doveva così di fatto a sostituire la scuola normale, come prevedeva l’art. 8: ne era
prevista l’istituzione, «possibilmente», in ogni provincia, e in ogni caso nei comuni fino allora sede
di scuole normali59 . La licenza magistrale primaria, conseguita con un esame, abilitava direttamente
all’insegnamento, poiché il tirocinio si svolgeva negli ultimi due anni corso; al termine del corso di
perfezionamento l’esame permetteva di conseguire un diploma «attestante i corsi frequentati e le
prove felicemente superate»60.
Il carattere pratico della scuola proposta da Nasi non doveva essere dispiaciuto alle
femministe che, come Giuseppina Gizzio, lamentavano il carattere troppo «astratto»
dell’educazione che fino allora era stata riservata alla donna :

«La sua educazione si è limitata al raffinamento dei sentimenti, facendole obbligo di una vita
senza esperienza, di studii senza profondità, di costumi senza criterii direttivi, di morale senza
pratica. Le si è anche imposto tutto quello che doveva stimolare la sua eccitabilità nervosa e la
fantasia: musica, lettere, arti, poesia; si è adornata come una divinità pagana, si è convinta che la
vita è una corsa al piacere» 61.

L’Autrice si spingeva a un confronto (senza dubbio ardito, per quei tempi, da parte di una
donna) con i detrattori del gentil sesso che su basi fisiologiche ne affermavano l’inferiorità, e nelle
pagine del suo libro ribatteva, con disinvolte disquisizioni sul peso e il volume del cervello, che tale
pretesa inferiorità altro non era che una differenza frutto di costrizioni inflitte alla donne e
perpetuatesi per generazioni, che si erano definitivamente inscritte nel suo patrimonio genetico.
Dunque, inferiore sì, ma per colpa dell’uomo; se cautamente dava ragione ai suoi avversari sulla
diversità fisica, sosteneva però che un mutamento di condizioni sociali ed educative avrebbe potuto

59 La somiglianza fra questo liceo femminile e la scuola normale è evidenziata dalla lettura dei programmi di
quest’ultima, contenuti nel R.D. 24 novembre 1895, n. 704, e riconfermati con alcune modifiche nella legge 12 luglio
1896, n. 293. Non è esatto quindi affermare che il liceo femminile progettato da Nasi si presentava come “un liceo
classico leggermente modificato”, come scrive D. Marchetta, il quale inoltre data il progetto al 1893, anticipandolo di
nove anni (cfr. D. Marchetta, Liceo femminile, cit., pp. 483-484). Sui programmi delle scuole normali v. anche A.
Santoni Rugiu, Ideologia e programmi nelle scuole elementari e magistrali dal 1859 al 1955, cit.
60 AP, Camera, Leg. XXI, Discussioni, 30 gennaio 1904, Proposta di legge del deputato Nasi, “Liceo femminile”. L’art.
20 abrogava le disposizioni contrarie contenute nella legge Casati (n. 3725, 15 novembre 1859) e in quella relativa al
riordinamento delle scuole normali (n. 293, 12 luglio 1896).
61 G. Gizzio, Femminismo e Pedagogia, Torino-Roma-Milano-Firenze-Napoli, Paravia, 1913, p. 64.
19

abbattere la barriera che si era creata fra l’uomo e la donna, la quale avrebbe finalmente avuto «un
valore morale pari all’uomo»62.
L’idea di una scuola femminile di cultura non fu del tutto abbandonata. Nel 1913 il ministro
Credaro63 nominò una commissione per la riforma della scuola normale; al termine del lavoro
svolto da quest’ultima, la relazione prodotta venne allegata al progetto di legge che il ministro
presentò in Senato l’anno successivo. In essa si individuavano i più gravi difetti della scuola
normale: le troppe materie, gli orari e i programmi pesanti; la perdita di tempo dovuta
all’applicazione del metodo ciclico; il frazionamento delle cattedre, che minava la continuità
d’insegnamento; il tirocinio, e la difficoltà di raggiungere insieme una preparazione culturale e
professionale. Nel capitolo III della relazione veniva evidenziata la necessità di provvedere
all’istruzione femminile, offrendo un nuovo corso di studi alle fanciulle che non aspiravano alla
carriera di maestra, e che in mancanza di una scuola governativa adatta si rivolgevano in massa (le
stime erano di circa 20.000 alunne) a educandati, monasteri, istituti privati di ogni tipo in Italia e
all’estero. Ma nel seguito si dichiarava che un esame più approfondito della questione aveva
riconfermato come la funzione di scuola di cultura venisse assolta egregiamente dalla scuola
normale, la quale se era capace di formare una buona maestra «non poteva non essere adatta,
almeno nel suo complesso, alla formazione di una fanciulla colta e di una buona madre». Non
essendo, quindi, opportuno creare una scuola di cultura fine a se stessa, il problema veniva risolto
proponendo «l’esperimento di un corso d’istruzione prettamente femminile» a fianco di quello
professionale. La nuova struttura dell’istituto magistrale - questa la nuova denominazione suggerita
da Credaro - vedeva quindi un corso di cultura della durata di cinque anni, al termine del quale si
accedeva a un biennio professionale con tirocinio; il corso «sperimentale» si sarebbe collocato in
parallelo a quest’ultimo64 . La commissione aveva presentato un’altra relazione riguardante
l’istituzione di un corso superiore di cultura femminile, che doveva seguire al corso di cultura e si
divideva in due sezioni: domestico-sociale, di due anni e storico-letteraria, di tre. Ma Credaro non
riteneva necessario «appesantire» il progetto di riforma della scuola normale aggiungendovi tale
corso, che semmai sarebbe stato oggetto di un prossimo disegno di legge; tanto più che

62 Ivi, p. 101.
63 Luigi Credaro (1860-1939), professore di storia della filosofia all’Università di Pavia (1889) e di Pedagogia
all’Università di Roma (1902), fu eletto deputato per il Partito Radicale nel 1895 e fu ministro della P.I. dal 1910 al
1914; al suo nome è legata la legge sull’avocazione della scuola elementare allo Stato (l. “Daneo-Credaro”, 4 giugno
1911, n. 407). Per un profilo più esaustivo si veda M. D’Arcangeli, Luigi Credaro e la “Rivista
Pedagogica” (1908-1939), in “Scuola e Città, a. XLIV, n. 7, 31 luglio 1993, pp. 273-280.
64 Relazione della Commissione per la riforma dell’istruzione magistrale, in AP, Senato, Leg. XXIV, Documenti, 26
febbraio 1914, doc. n. 8.
20

all’istruzione femminile provvedevano in maniera efficace le scuole femminili di perfezionamento


di Roma, Milano e Torino, le scuole commerciali di Roma, Milano, Genova e Torino e altre città, le
scuole di cucina e di economia domestica, quelle complementari e professionali, ecc.65 . Con il
presente disegno di legge, concludeva il ministro, si offriva alla donna «una buona scuola
quinquennale di cultura», e d’altra parte le fanciulle avevano accesso, «molto più largamente che in
altri paesi», a tutte le scuole medie e superiori maschili; in definitiva la coeducazione dei sessi
aveva dato buona prova, risolvendo nel contempo una grande difficoltà economica66. Il progetto di
legge, arenatosi per il sopraggiunto stato di guerra, fu ripreso nel 1918 dal ministro Berenini con
diversi emendamenti. Il ministro manteneva in sostanza la formulazione del suo predecessore,
affermando che l’istituto magistrale avrebbe provveduto alla formazione culturale delle fanciulle
«giacché darà loro il senso della nobilissima funzione educativa, che spetta sempre alla donna,
anche se essa non eserciterà ex professo il magistero»; inoltre si riservava di proporre una riforma
degli educandati, risolvendo così il problema dell’istruzione delle fanciulle che non intendessero
frequentare l’istituto magistrale67 . Nella discussione in Senato di alcune settimane dopo Berenini
ammetteva tuttavia che la situazione dell’istruzione femminile presentava ancora gravi carenze:
«tutti i corsi di studi medi e superiori sono oggi di fatto aperti anche alle donne, ma sarebbe
illusione il credere che per tal modo siasi risolto in Italia il problema dell’educazione femminile», in
considerazione della «funzione differenziale e specifica della donna». Le giovinette che
desideravano proseguire gli studi avevano solo due alternative, l’istruzione magistrale o l’istruzione
professionale, entrambe lontane «dall’assolvere il compito che ad uno Stato moderno compete circa
l’educazione della donna». Collegi, educatori e conservatori femminili offrivano un’educazione
superficiale, in contrasto con i mutamenti sociali che affermavano l’esigenza di formare «spose e
madri italiane» il cui compito non si esaurisse fra le mura domestiche, non delle virago ma neppure
delle bambole68 . Il progetto fu approvato dal Senato il 1° maggio 1918, ma non ebbe seguito.

65 Ivi.
66 Ivi.
67 AP, Senato, Leg. XXIV, Documenti, 27 febbraio 1918, doc. n. 8-bis.
68 AP, Senato, Leg. XXIV, Discussioni, 24 aprile 1918.
21

La tentata riforma fu, invece, occasione per Giovanni Gentile69 di intervenire nel dibattito
che attorno ad essa si era animato, con un articolo sulle pagine del «Resto del Carlino» dal titolo
Esiste una scuola in Italia ? in forma di lettera aperta al ministro Berenini. Gentile, seguitando sulla
linea di politica scolastica che aveva inaugurata da diversi anni con una serie di scritti in difesa della
scuola classica, auspicava una ristrutturazione organica della scuola normale che non fosse uno dei
soliti «rimaneggiamenti»; il difetto principale che individuava in quest’ordine di scuola non era «in
questo o quel programma, in una materia di più o di meno, nell’eccesso o nel difetto della teoria o
della pratica, nel suo carattere umanistico o realistico, culturale o professionale», ma nel fatto che

« ...non c’è scuola senza scolari, e alla normale manca una scolaresca sua propria. Essendo essa
istituto medio di secondo grado, manca di una scuola di primo grado, che ne prepari gli alunni ;
ond’è costretta ad aprire le braccia a tutti gli sbandati delle varie scuole indirizzate a finalità
diverse: giovani e giovanetti di diversa età, di diversa tempra intellettuale, di aspirazioni diverse,
formanti un’accozzaglia artificiale, cui nessuno sforzo di buona volontà potrà mai sottomettere a
una comune disciplina mentale e morale»70.

La polemica contro l’apertura indiscriminata alla «pletora degli alunni», che costituiva uno
dei ritornelli preferiti del filosofo, si induriva ulteriormente nei confronti del sesso femminile, la cui
massiccia presenza nella scuola media era segno inequivocabile della decadenza cui questa sarebbe
andata incontro in mancanza di un ritorno alla sua «antica fisionomia»:

«...essa sarà abbandonata dagli uomini, attratti verso carriere più vantaggiose e virili: e invasa
dalle donne, che ora si accalcano alle nostre università, e che, bisogna dirlo, non hanno e non
avranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoria spirituale, che
sono le forze superiori, intellettuali e morali, dell’umanità, e devono essere i cardini della scuola
formativa dello spirito superiore del paese»71.

La conclusione era riassunta nelle parole «poche scuole, ma buone», che avrebbero
rappresentato il fulcro della riforma attuata nel 1923; e il commento sulla «invasione delle donne»

69 Di Giovanni Gentile (1875-1944) rammentiamo lo scritto Il concetto scientifico della pedagogia (1901), prima
formulazione della risoluzione della pedagogia con la filosofia e dell’identità educatore-educando, e l’opera Sommario
di pedagogia come scienza filosofica (1913-14). Sulla politica scolastica esistono numerosi contributi, a partire da
L’insegnamento della filosofia nei licei (1900), a L’unità della scuola secondaria e la libertà degli studi (1902), i
discorsi raccolti in La riforma della scuola media (1905), Scuola e filosofia (1908), Il problema scolastico del
dopoguerra (1919), La riforma dell’educazione (1920), ecc. Essendo impossibile darne un medaglione biografico in
poche righe, si rimanda a S. Romano, Giovanni Gentile. La filosofia al potere, nuova edizione integrata, Milano,
Bompiani, 1990, e a G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze, Giunti, 1995.
70G. Gentile, Esiste una scuola in Italia ? Lettera aperta al ministro della P.I. On. Berenini, in Il problema scolastico
del dopoguerra, Napoli, Ricciardi, 1919, pp. 5-6. La lettera fu pubblicata il 4 maggio 1918 sul “Resto del Carlino”.
71 Ivi, p. 8.
22

era il presupposto che avrebbe dato vita al Liceo femminile, nato per accogliere lo sciame di
fanciulle che dovevano essere dissuase dal frequentare la scuola classica e la scuola normale.

I Licei femminili nelle terre redente

Prima dell’armistizio esistevano, nelle terre redente, quattro Licei femminili con
insegnamento in lingua italiana, istituiti dai Comuni e dalle Provincie di Pola, Rovereto e Trieste in
base alle leggi austroungariche del 1910 e del 1912, fra i quali l’unico di fondazione statale era
quello di Trieste, in lingua tedesca, che fu soppresso dopo l’annessione. Simili, per struttura, alle
höhere Mädchenschule tedesche e ai Licei femminili francesi fondati nel 1880 su iniziativa del
deputato Camille Sée, il loro obiettivo era quello di fornire alle fanciulle di estrazione borghese una
cultura laica senza fini professionali; l’istituto magistrale era invece concepito come scuola
decisamente professionalizzante, a differenza della scuola normale del Regno d’Italia che, come si è
visto, tentava di conciliare la finalità culturale con quella formativa del corpo insegnante magistrale.
I Licei femminili austroungarici si componevano di 6 classi ordinarie, cui se ne poteva aggiungere
una settima che, a fianco dei corsi complementari liberi, consentiva l’accesso ad alcune facoltà
universitarie o l’acquisizione del diploma magistrale; il diploma era anche titolo di ammissione ad
alcuni impieghi statali e ad esami di abilitazione all’insegnamento di alcune materie72. In tutto
l’Impero nel 1900 si contavano 9 istituti con 1.700 alunne (sommate a quelle delle scuole superiori
femminili), che dopo le leggi riformatrici nel 1912 erano saliti a 66 con 11.286 alunne73 .
Fino al 1922 era prevalsa la tendenza a non applicare le norme legislative del Regno alle
scuole medie dei territori ex austroungarici, mantenendone gli ordinamenti; la riforma Gentile fu
invece estesa a tutto il territorio italiano. Nell’anno scolastico 1922-23 erano funzionanti, nelle
nuove provincie, due Licei femminili di cultura comunali, il «Riccardo Pitteri» e il «Giosuè
Carducci» con annesso Istituto Magistrale, entrambi a Trieste, più quattro licei pareggiati: il Liceo
femminile provinciale di cultura «Regina Elena» a Pola, la scuola superiore per giovanette di lingua
tedesca (Höhere Töchterschule) a Bolzano, il Liceo femminile delle Dame Inglesi a Merano, di

72 R. Truffi, Per l’istruzione della donna in Italia, cit., p. 523.


73 Ivi, p. 524 n.
23

lingua tedesca, e il Liceo femminile comunale di cultura a Rovereto74; nell’anno successivo fu


chiuso il liceo di Pola e il Carducci di Trieste fu unificato con il Pitteri75.
Il Liceo femminile comunale «Riccardo Pitteri», istituito a Trieste nel 1913, soppresso
dall’impero austriaco nel 1915 e poi ricostituito con l’armistizio del 1918, era una scuola secondaria
composta da sei classi liceali con annesso un ginnasio classico; di fondazione non statale, ottenne il
pareggiamento nel 1922. Vi erano impartiti gli insegnamenti di italiano, francese, tedesco, storia,
geografia, matematica, storia naturale, somatologia e igiene, fisica, chimica, disegno, calligrafia,
lavori femminili, educazione fisica e filosofia; le materie facoltative erano canto, stenografia, lavori
femminili negli ultimi due anni di scuola e due corsi completivi di computisteria e matematica,
come previsto dal programma didattico del 14 settembre 192076. Il primo triennio poteva sostituire
il corso inferiore di scuola normale, istituto tecnico e scuola media commerciale; dopo cinque anni
era consentita l’iscrizione al corso magistrale biennale. La licenza dava accesso all’istituto superiore
di magistero, all’istituto di magistero di educazione fisica e a una serie di esami e di corsi
specializzanti; veniva inoltre equiparata a tutti gli effetti a quella di scuola normale, salvo che per
l’esercizio dell’insegnamento elementare77 . Nell’anno scolastico 1921-22 il «Pitteri» contava 576
iscritte, di cui 461 nelle sei classi liceali e le restanti 115 in quelle ginnasiali. L’insegnamento
facoltativo più seguito era il canto, con 345 preferenze; seguivano i lavori donneschi (99), la
computisteria (42) e il corso complementare di matematica (31)78. Nel 1922-23 le alunne iscritte
erano complessivamente 567, di cui 453 nelle classi liceali79 ; tre anni dopo la riforma Gentile si
erano ridotte a ventisette80.

74 Ministero della Pubblica Istruzione (MPI), Annuario 1923, Roma, Tip. Operaia Romana Cooperativa, 1923, p. 622.
75 M. Graziussi, Le scuole medie nelle terre redente, in “Annali della Pubblica Istruzione” - II, Istituti Medi e Superiori,
a. I, fasc. I, 10 agosto 1924, p. 43.
76Liceo Femminile Comunale “R. Pitteri” e Ginnasio Femminile, Annuario 1921-1922, n. s., a. IV, Trieste, Stab. Art.
Tip. G. Caprin, 1923, p. 9.
77 La licenza dava accesso agli esami di abilitazione all’insegnamento di lingue straniere nelle scuole medie di primo
grado, calligrafia nelle scuole tecniche e normali, disegno nelle scuole medie, canto corale nelle scuole normali,
stenografia; agli esami di licenza magistrale con le prove di pedagogia, didattica, igiene scolastica, canto, ginnastica e
lavori donneschi; alla terza classe di una scuola magistrale con un esame di pedagogia generale, oppure alla quarta, con
un esame di pedagogia, didattica, canto, ginnastica e lavori femminili; ai corsi di perfezionamento per i licenziati delle
scuole normali annessi alla Facoltà di lettere e filosofia previo esame integrativo di pedagogia.
78 Ivi, pp. 16-17. Ivi, pp. 7-8.
79Liceo Femminile Comunale “R. Pitteri” e Ginnasio Femminile, Annuario 1922-1923, n. s., a. V, Trieste, Stab. Art.
Tip. G. Caprin, 1924, pp. 14-15. La scuola venne regificata nel 1923.
80MPI, Annuario 1927, Roma, Provveditorato Generale dello Stato - Libreria, 1927, pp. 571-72. La fonte della tabella 1
è G. Ferretti, La scuola nelle terre redente. Relazione a S.E. il Ministro (giugno 1915-novembre 1921), Firenze,
Vallecchi, 1923, pp.286-290.
24

Nel 1919 si svolse a Trieste il Congresso della scuola media redenta, in cui il Liceo
femminile fu al centro di vivaci discussioni. Tre erano le tendenze che si delineavano nel dibattito:
la soppressione del liceo, accusato di non essere una scuola culturale né professionalizzante,
null’altro che un inutile «vivaio di signorine frivole ed oziose»; la conservazione del liceo così
com’era; la sua ristrutturazione, rendendolo una scuola più professionalizzante e moderna con un
indirizzo più eminentemente pratico; fu quest’ultima a prevalere, con lo scarto di appena un voto81.
L’anno successivo il MPI nominò una Commissione per riformare i Licei femminili, la quale
approvò un nuovo ordinamento che prevedeva delle modifiche sostanziali ad orari e programmi,
lasciando invariate la durata (6 anni) e gli insegnamenti fondamentali, che dovevano fornire una
cultura generale con cognizioni di genere linguistico, letterario e scientifico. Una delle novità era
che al termine della terza classe era possibile ottenere, previo la frequenza di un corso di
computisteria, un titolo di studio corrispondente a quella che in seguito sarebbe divenuta la licenza
di scuola tecnica; le licenziate della quarta classe potevano, frequentando un anno di corso
integrativo, essere ammesse alle facoltà universitarie. Fu poi progettato, ma mai attuato, un terzo
corso di perfezionamento, quello magistrale, una sorta di canale provvisorio in attesa di una riforma
delle scuole normali delle nuove province82.

Tabella 1. Popolazione scolastica nei Licei Femminili delle Terre Redente 83

VENEZIA GIULIA
Istituto 1918-19 1919-20 1920-21
L. F. provinciale «Regina Elena» - Pola 338 473 469
L. F. comunale «G. Carducci» - Trieste 600 527 722
L. F. comunale «R. Pitteri» - Trieste 418 779 644
Totale 1356 1779 1835
VENEZIA TRIDENTINA
Istituto 1918-19 1919-20 1920-21
Civico L. F. «B. L. Saibanti» - Rovereto 97 157 168
L. F. Prosl - Merano - 45 51
L. F. Dame Inglesi - Merano 37 71 85
Scuola media per giovinette - Bolzano 43 32 24
Totale 177 305 328

81F. Pasini, Il liceo femminile secondo la riforma gentiliana, in “L’Educazione Nazionale”, a. VI, fasc. VI, giugno 1924,
pp. 285-289.
82 R. Truffi, Per l’istruzione della donna in Italia, cit., p. 524 ss.
83 Fonte: G. Ferretti, La scuola nelle terre redente. Relazione a S.E. Il Ministro (giugno 1915 - novembre 1921),
Firenze, Vallecchi, 1923, pp. 286-289 ss.
25

La riforma Gentile

Nel maggio 1923, in virtù dei pieni poteri concessi per un anno al governo Mussolini, fu
varata la riforma Gentile, consistente in una serie di regi decreti non sottoposti ad alcun controllo
parlamentare84 , così come era accaduto sessantaquattro anni prima per la legge Casati. In continuità
con quest’ultima si sottolineava il ruolo predominante della cultura umanistica, accentuando la
scissione fra istruzione classica e istruzione tecnico-professionale e rendendo ancora più elitario,
per la pesantezza dei programmi e la difficoltà degli esami, il liceo, strumento di preparazione della
classe dirigente nazionale; anche a livello amministrativo veniva riconfermato il centralismo
casatiano, con un rafforzamento del Consiglio superiore della PI e una generale gerarchizzazione
della struttura. Nella riforma confluivano i dibattiti e le elaborazioni dell’età giolittiana sulla scuola,
ma l’istanza che ne veniva recepita era soprattutto quella di un’istruzione selettiva ed esclusiva85. Il
corpus della riforma era costituito dai regi decreti che modificavano l’amministrazione scolastica, la
scuola media, l’università e la scuola elementare, cui fece seguito una serie di regolamenti, norme e
decreti.
Il decreto centrale era quello del 6 maggio 1923, n. 1054, che riorganizzava la scuola media
secondo alcuni punti fondamentali: il nuovo esame di Stato, la drastica riduzione del numero degli
istituti, la riconferma della supremazia del liceo classico e della cultura umanistica, con la
conseguente dequalificazione delle scuole tecniche e la creazione di scuole «di scarico» fini a se
stesse per i ceti meno abbienti. In ottemperanza alle norme internazionali l’obbligo scolastico fu
elevato al quattordicesimo anno di età; per permetterne l’assolvimento fu ideato il corso integrativo
postelementare, della durata di tre anni, che dava un complemento d’istruzione al quinquennio

84 Così il Consiglio dei Ministri diede la sua approvazione: «Il Ministro della Pubblica Istruzione on. Gentile ha
sottoposto al Consiglio il piano di riforma organica delle scuole medie; riforma con la quale si riordinano i servizi
pertinenti alla scuola media in modo più consono alle moderne esigenze didattiche e pedagogiche e più rispondenti alle
mutate condizioni sociali ed economiche del Paese. La riforma è concretata in un decreto di quasi 150 articoli, corredato
da 20 tabelle, che disciplina tutta la materia dell’istruzione media, dagli istituti governativi e dai Convitti nazionali, agli
istituti pareggiati e privati, dallo stato giuridico ed economico dei Professori agli esami, dalla carriera scolastica degli
alunni alle tasse. Il piano di riforma, dopo ampia discussione, alla quale hanno partecipato quasi tutti i Ministri, è
approvato all’unanimità». ACS, Consiglio dei Ministri, Verbali, 27 aprile 1923, p. 341 bis. Gentile era stato nominato
ministro della P.I. il 31 ottobre 1922, nel primo Gabinetto Mussolini, subito dopo la marcia su Roma .
85G. Ricuperati, La scuola nell’Italia unita, in AA. VV., Storia d’Italia, vol. V, I Documenti, Tomo I, Torino, Einaudi,
1973, p. 1711.
26

elementare. In realtà tale corso, che doveva servire quale soluzione di «massa» per il popolo, non
era presente su tutto il territorio e pochi furono coloro che lo frequentarono; privo di sbocchi e
duramente criticato, nel 1929 venne soppresso 86. Erano istituite la scuola complementare, che si
concludeva in se stessa e dava accesso ai rami più bassi degli impieghi statali (anch’essa ben presto
eliminata) e il nuovo istituto magistrale, radicalmente trasformato, che si proponeva come scuola di
formazione umanistica, con il latino e senza più psicologia e tirocinio. La scuola per eccellenza
rimaneva il liceo classico, unico che dava accesso a tutte le facoltà universitarie, accanto al quale,
abolito il liceo moderno, veniva creato il liceo «minore», lo scientifico: «Tendo a concentrare la
funzione della scuola media nella scuola classica» affermava Gentile in un’intervista all’«Idea
Nazionale» alla vigilia della riforma, «la quale, per il suo valore nazionale ed educativo, avrà una
netta preminenza su le altre scuole destinate alla formazione dello spirito degli alunni»87 . Veniva,
infine, «la più graziosa e assurda invenzione di Giovanni Gentile»88: il Liceo femminile. Così il
filosofo ne giustificava la creazione in un’intervista al «Corriere Italiano» del 17 gennaio 1924:

«Molte fanciulle della borghesia, pur non avendo intenzione di dedicarsi all’insegnamento,
frequentavano la scuola normale, che era l’unica scuola per signorine, o si istruivano in istituti
privati. Creando lo schema del liceo femminile, abbiamo inteso di determinare il genere di
cultura che si doveva dare in questi istituti privati e abbiamo voluto dar posto a quelle fanciulle
che venivano escluse dagli istituti magistrali»89.

Tale finalità era specificata anche nel RD: «I licei femminili hanno per fine d’impartire un
complemento di cultura generale alle giovinette che non aspirino né agli studi superiori né al
conseguimento di un diploma professionale» 90. Il Liceo femminile fu quindi istituito, oltre che per
rispondere alla richiesta di istruzione media da parte della popolazione femminile che non aspirava
al proseguimento degli studi, allo scopo di preservare dall’affollamento gli istituti magistrali,
proteggendo nel contempo dall’«invasione delle donne» la scuola media pubblica, in particolare il

86 A. Semeraro, Il sistema scolastico italiano. Profilo storico, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996, p. 62.
87L’intervista è del 29 marzo 1923, poi pubblicata sotto il titolo Il rinnovamento della scuola in G. Gentile, La riforma
della scuola in Italia, cit., pp. 49-56.
88G. Ricuperati, Scuola e politica nel periodo fascista, in G. Quazza (a cura di), Scuola e politica dall’Unità ad oggi,
Torino, Stampatori, 1977, p. 89.
89 G. Gentile, Il riordinamento della scuola, in Il fascismo al governo della scuola, Palermo, Sandron, 1924, p. 249.
90R. D. 6 maggio 1923, n. 1054, Ordinamento della istruzione media e dei convitti nazionali. Cap. VII - Dei licei
femminili, Art. 65.
27

liceo-ginnasio91. L’istituto, privo di corso inferiore, aveva la durata di tre anni e vi si accedeva dopo
quattro anni di scuola media di primo grado, previo esame di ammissione92; al termine del triennio
non si sosteneva l’esame di Stato come per i licei classico e scientifico, ma si otteneva una licenza
inutilizzabile a livello professionale e che non consentiva il passaggio all’Università93. Le materie
d’insegnamento erano lingue e letteratura italiana e latina, storia e geografia, filosofia, diritto ed
economia politica; due lingue straniere, delle quali una obbligatoria e l’altra facoltativa; storia
dell’arte; disegno; lavori femminili; musica e canto; uno strumento musicale; danza94.
L’istituzione del Liceo femminile ben si accordava con l’immagine che Gentile aveva della
donna: spiritualmente - oltre che fisicamente - diversa dall’uomo, e come tale limitata a livello
sociale e culturale, destinata a ricoprire il ruolo di vestale del fuoco familiare, madre ed educatrice
dei figli; in breve, una deliziosa e angelicata creatura subalterna, incapace di dedicarsi alle attività
scientifiche e politiche, che rimanevano il «terreno di battaglia» dell’uomo95 . In continuità con i
pensatori ottocenteschi che, come Lombroso, consideravano la donna inferiore rispetto all’uomo
nella linea evolutiva, per l’idealismo gentiliano ella era un essere di ottuse capacità, la cui
comprensione dello spirito era imperfetta96 . Con la creazione di una «scuola adatta ai bisogni
intellettuali e morali delle signorine» il filosofo giustificava la riduzione degli istituti magistrali da

91 L’affollamento delle donne nei licei ne avrebbe diminuito “di fatto la possibilità di essere le palestre severe per i
futuri capi. [...] La scelta di questo infelice tipo di scuola inaugurava una costante della politica fascista, il rifiuto di
considerare la donna come parte dello stesso mercato del lavoro maschile. C’era la precisa volontà di imprigionarla -
elegantemente - nei ruoli di madre e semmai signora, nel senso più piccolo-borghese del termine”. G. Ricuperati, La
scuola italiana e il fascismo, Bologna, Consorzio Provinciale Pubblica Lettura, 1977, p. 11.
92I titoli di iscrizione nei licei femminili erano i seguenti:
1a classe : alunne promosse dalla 4a del ginnasio moderno o classico ;
alunne riprovate nella promozione alla 2a classe della scuola normale le quali optino per il Liceo
femminile anziché per la prima classe del corso superiore dell’istituto magistrale
2a classe : alunne licenziate dalla 5a del ginnasio moderno o classico ;
alunne promosse dalla 1a classe normale
3a classe : alunne promosse dalla 1a del liceo moderno o classico ;
alunne promosse dalla 2a classe normale o dalla 1a del corso magistrale.
MPI, Bollettino Ufficiale, a. L, vol. II, n. 36- 30 agosto 1923, circolare n. 67, p. 2851.
93 Le candidate che avessero compiuto vent’anni “nell’anno in corso” potevano abbreviare il ciclo di studi e licenziarsi
con un anno d’anticipo. L. Severi, R. Ferruzzi, Il nuovo regolamento sugli alunni, gli esami e le tasse scolastiche per gli
istituti medi d’istruzione, Torino-Milano-Firenze-Roma-Napoli-Palermo, Paravia, 1925, p. 70.
94 Ivi, art. 67.
95 G. Gentile, La donna nella coscienza moderna, in La donna e il fanciullo. Due conferenze, Firenze, Sansoni, 1934,
pp. 1-28. Lo scritto si apre con l’emblematica famosa affermazione: “Il femminismo è morto”. La coerenza fra la
creazione dell’istituto e la concezione che il filosofo aveva della donna è giustamente sottolineata da G. Turi, che non si
trova d’accordo con il giudizio di Prezzolini, il quale in una sua lettera affermava: “I licei femminili sono un errore da
siciliano, che non conosce la vita moderna”, dimostrando quindi di considerare tale scuola una sorta di “incidente di
percorso” nella politica scolastica gentiliana. Cfr. G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, cit., pp. 327-328 ;
Prezzolini a Casati, 30 giugno 1924, in A. Casati - G. Prezzolini, Carteggio, II, 1911-1944, a cura di D. Continati,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1990, p. 453.
96 V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, cit., pp. 210-211.
28

153 a 87, come ebbe a spiegare in un discorso del 15 novembre 1923 al Consiglio Superiore della
P.I.97.
L’art. 69 della legge autorizzava l’istituzione di venti regi Licei femminili in tutto il Regno, e
un decreto successivo disponeva l’istituzione di un liceo a partire dal 1° ottobre 1923 nei comuni di
Cagliari, Cesena, Macerata, Milano, Napoli, Padova, Spoleto, Torino, Venezia e Verona98 ; fra
questi dieci erano di fatto funzionanti nell’anno scolastico 1923-24 quelli di Cesena, Macerata,
Milano, Napoli, Torino, Rovereto, Trieste99 . Dei licei istituiti con un posteriore regio decreto a
Rimini e a Siena solo quest’ultimo100 risulta effettivamente attivo dal 1925 al 1928. A Milano e a
Napoli furono preventivati due corsi di Liceo femminile, così come a Trieste, nelle altre città
(Cagliari, Cesena, Macerata, Padova, Spoleto, Torino, Venezia, Verona) fu preventivato un liceo con
un corso unico di tre classi; questi dieci istituti dovevano essere attivati entro il 1924. A essi vanno
aggiunti quelli di Trieste e Rovereto (corso unico), di fondazione austroungarica; fu soppresso,
subito dopo la redenzione, il Liceo femminile tedesco di Trieste, e identica sorte toccò in seguito al
Liceo femminile provinciale di Pola101.

I programmi del liceo femminile

L’esame di ammissione al Liceo femminile prevedeva prove scritte e orali di italiano e


latino, conversazioni su alcuni argomenti di storia e di geografia, prove di disegno, canto e uno
strumento musicale, e nelle intenzioni del legislatore doveva costituire un filtro che lasciasse
accedere solo le più dotate di «grazia aristocratica»: «Si guarderà molto al gusto con cui si leggono
gli autori prescelti e alla signorilità dell’espressione», si precisava nelle Avvertenze102 . L’unica

97 G. Gentile, Il rinnovamento della scuola, in La riforma della scuola in Italia, cit., pp. 211-212.
98 R.D. 9 settembre 1923, n. 1916.
99MPI, Annuario 1924, Roma, Libreria dello Stato, 1924, pp. 503-504. I licei di Rovereto e di Trieste erano già esistenti
quali licei femminili di cultura nelle terre redente. Il liceo di Spoleto venne soppresso col il R.D. 27 marzo 1924 n. 555 ;
ma di fatto non fu mai funzionante, non risultando nei dati ufficiali Istat né in quelli degli Annuari e dei Bollettini del
MPI.
100R.D. 27 settembre 1923, n. 2508 ; cfr. gli Annuari del MPI del 1926, 1927 e 1928. Anche in questo caso non vi sono
tracce del liceo di Rimini, previsto dalla legge e mai operante.
101 F. Pasini, Il liceo femminile secondo la riforma gentiliana, cit., pp. 290-91 n.
102 MPI, Programmi per le RR. scuole medie, Roma, Tip. Operaia Romana Cooperativa, 1923, p.80.
29

variazione che le materie d’insegnamento, riportate nella tabella 2, subirono con il ministro Fedele,
fu la soppressione dell’insegnamento dell’educazione fisica.

Tabella 2. Orario e materie d’insegnamento nelle tre classi del Liceo Femminile103
MATERIE D’INSEGNAMENTO I II III Tot.
Lingua e letteratura italiana e latina 6 6 6 18
Storia e geografia 3 3 3 9
Filosofia, diritto ed economia politica 3 3 3 9
Storia dell’arte (facoltativa) (2) (2) (2) (6)
Lingua francese (facoltativa) (4) (4) (4) (12)
Lingua tedesca o inglese 4 4 4 12
Disegno 3 3 3 9
Musica, canto e danza 2 2 2 6
Strumento musicale (facoltativo) (2) (2) (2) (6)
Lavoro femminile ed economia domestica 3 3 2 8
Educazione fisica 2 2 2 6
TOTALI 26 26 25 77

Se le indicazioni di Gentile privilegiavano del latino l’aspetto estetico della letteratura,


dando grande spazio alla lettura dei poeti e assegnando un ruolo marginale a Plinio, Livio, Cicerone
e Tacito, il programma, dopo Fedele, diventa, nelle definizioni del MEN, «più armonico e più
completo e meglio rispondente al fine assegnato al liceo femminile: l’acquisto di una cultura
generale di carattere disinteressato, la educazione al gusto “delle cose belle, alte, gentili”»104; le
giovinette dovevano perciò dedicarsi allo studio dei costumi religiosi e domestici degli antichi
romani, e nei programmi non mancava l’esaltazione della romanità e del cristianesimo.
L’esame di licenza comprendeva prove scritte e orali di italiano e latino, francese, la lingua
facoltativa (inglese o tedesco); una prova orale di filosofia della durata di venti minuti, su argomenti
di estetica, morale e sul problema conoscitivo più l’esposizione di un dialogo platonico;
conversazioni di diritto ed economia politica, storia e geografia; ma questa era la parte minore
dell’esame. Nelle materie artistiche era invece sottolineato il lato più «femminile» del tipo di
scuola. La prova pratica di disegno consisteva nell’esecuzione di un lavoro ornamentale su un
«oggetto casalingo» in cui la candidata doveva dare prova di buon gusto; il programma di storia

103 Fonte: MEN, Dalla riforma Gentile alla Carta della scuola, cit., p. 192.
104 MEN, Dalla riforma Gentile alla Carta della scuola, cit., p. 258.
30

dell’arte era lo stesso del liceo classico, con l’avvertenza che «nel liceo femminile si richiederà una
più profonda conoscenza delle cosiddette arti decorative considerata la funzione che la donna
assume nell’ordinamento estetico della casa»; era ritenuto, invece, meno importante che le fanciulle
conoscessero la storia dell’architettura105. Seguiva un programma di media difficoltà di musica e
canto corale e uno strumento musicale, a scelta fra pianoforte e violino; poi l’esame di danza, in
minima parte pratico, basato soprattutto su nozioni storiche e teoriche.
Ma la parte predominante era costituita dai lavori femminili e dall’economia domestica, che
insieme occupavano oltre la metà dell’intero programma. Erano descritte nei minimi particolari le
prove pratiche, complessivamente quindici, che la candidata avrebbe estratto a sorte ed eseguito,
consistenti ognuna in una serie di lavori di taglio, ricamo, cucito a mano e a macchina, in cui
abbondavano vestine e cuffiette da neonato. Seguivano le prove orali, ossia una discussione del
lavoro svolto, disegni alla lavagna e su carta di modelli, preventivi di spesa dell’acquisto dei
materiali, ecc.; in tutto, l’esame pratico impegnava una giornata per sei ore, con un intervallo di
due, e l’esame orale doveva occupare una ventina di minuti. Agli esaminatori si raccomandava di
tener conto, nella valutazione, «del gusto, del senso della misura e del possesso di quel
discernimento che lascia saviamente interpretare tutte le libertà consentite dall’arte»106. La prova si
concludeva con una conversazione di quindici minuti sulle nozioni di economia domestica, che
comprendevano il bilancio familiare, la casa e la mobilia, le cure da darsi agli abiti e alla biancheria,
l’alimentazione (inclusa l’utilizzazione degli avanzi) e gli animali domestici. Le Avvertenze in calce
ai programmi richiamavano l’attenzione sulle finalità dell’istituto :

«Gli esami del liceo femminile devono essere un saggio di cultura generale. Senza molte
minuzie, essi debbono dar prova che le candidate sono in grado di leggere ed apprezzare i
migliori scrittori delle singole letterature, che hanno un’idea abbastanza concreta del mondo in
cui debbono vivere, e sufficiente finezza spirituale per potervi esercitare la loro missione
moralizzatrice. Questi elementi sono troppo sottili perché possano chiaramente fissarsi in un
programma di esame, ma l’esaminatore, tenendoli presenti e tenendo presente la natura e lo
scopo dell’istituto, potrà formarsi una chiara idea del modo di interrogare che dovrà usare e dei
limiti del programma materialmente indicato»107.

Gusto, gentilezza e moralità erano dunque le parole d’ordine di questo programma d’esame
decisamente sbilanciato verso le attività «femminili». Alla fine del 1924 le cifre riguardanti i
risultati dei primi esami di Stato sono le seguenti: 3.737 diplomati al liceo classico, 310 allo

105 Ivi, p. 83.


106 Ivi, p. 87.
107 Ivi, p. 88.
31

scientifico, 3.719 abilitati all’istituto tecnico, sezione ragioneria, e 1.171 alla sezione agrimensura,
4.884 diplomati all’istituto magistrale. Le licenziate del liceo femminile erano appena 16, con due
candidate respinte108.

Il dibattito in Parlamento

In Parlamento la riforma Gentile fu discussa per la prima volta nel maggio 1923, in
occasione del dibattito sull’approvazione del bilancio del MPI. La discussione riguardava solo una
parte della riforma, quella relativa al riordino della scuola media, e vide i socialisti, rappresentati dai
deputati Baratono, Zanzi e Lazzari in netto contrasto con Gentile. La successiva discussione alla
Camera si ebbe dal 17 al 19 dicembre 1924 sotto il successore di Gentile, Casati, sempre nel corso
del dibattito sul bilancio del MPI. Stavolta i gruppi di opposizione riuniti nel cosiddetto Aventino
avevano in gran parte disertato i lavori parlamentari per protestare contro il rapimento e la
scomparsa del deputato socialista Matteotti.
In Senato la discussione si tenne nel 1925, nelle tornate dal 2 al 7 febbraio109 . Oltre al
riordinamento della scuola secondaria l’attenzione si concentrava sulla riforma universitaria; la
critica della minoranza prendeva di mira in particolar modo i programmi della scuola media,
l’esame di Stato e le limitazioni all’autonomia universitaria, e fu qui che si concentrarono le critiche
al Liceo femminile. I più agguerriti erano Ettore Pais, Nino Tamassia, Francesco Torraca, Girolamo
Vitelli e Luigi Credaro, che non risparmiarono le critiche sulla nuova istituzione: «La scuola media
appena creata», diceva Tamassia, «ebbe i suoi infortuni, i nati morti della Riforma: la scuola
complementare, che con l’ossigeno del corsi integrativi non è più quella, e i licei femminili dai canti
e dalle dolci danze» 110. L’onorevole Pais111 rincarò la dose, esponendo i programmi del nuovo

108A. Ferlini, Il travaglio della riforma scolastica. Programmi “Fedele” con Avvertenze, Ripartizioni e Note, Torino,
Paravia, 1926, p.119.
109La Commissione delle Finanze del Senato si era espressa benignamente sulla riforma scolastica, rallegrandosi come
l’aumento di spesa da essa provocato non avesse pesato eccessivamente sul bilancio dello Stato, andando a gravare per
lo più su quello di Comuni, Province, Camere di Commercio e su “quello domestico di molti padri di famiglia”. P.
Chimienti, Sulla riforma Gentile. Relazione della Commissione di Finanze del Senato sul bilancio della P.I. (esercizio
1924-25), Roma, Tip. del senato, 1925, pp. 7-8.
110AP, Senato, Leg. XXVII, Discussioni, 2 febbraio 1925, Discussione del disegno di legge : “Stato di previsione della
spesa del Ministero della Pubblica Istruzione per l’esercizio finanziario dal 1° luglio 1924 al 30 giugno 1925”, p.1288.
111Pais, uno dei più critici oppositori della riforma, era stato docente di storia antica di Gentile alla Normale di Pisa; nel
1918 Gentile aveva tentato di impedirne, senza riuscirvi, la chiamata per chiara fama all’Università di Roma. Cfr. G.
Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, cit., pp. 18, 276.
32

istituto al pubblico dileggio, in un discorso che non mancò di riscuotere l’approvazione della platea;
pur riconoscendo che l’idea di fondare una scuola per giovinette era buona, rispondendo
all’esigenza delle famiglie che non accettavano la coeducazione dei sessi, criticava ferocemente lo
spazio dedicato ai lavori femminili e all’economia domestica, che occupavano «nientemeno che sei
pagine del programma» (dalle quali citava testualmente alcuni brani, suscitando l’ilarità dei
presenti), a tutto svantaggio di altre fondamentali materie:

«Ma quello che è veramente strano e notevole è che nel liceo femminile manca assolutamente
l’insegnamento delle scienze naturali. Così la giovinetta apprenderà benissimo quali cure si
debbano avere per il cane e per il gatto, ma non saprà come trarsi d’impaccio in un caso di
avvelenamento, non saprà che cosa sono un barometro o un termometro e così via dicendo.
Infatti secondo il criterio di questo ordinamento le scienze naturali sono state assolutamente
bandite dal ginnasio e dalle altre scuole medie inferiori» 112.

La critica di Pais proseguiva stigmatizzando la concezione che Gentile, a suo parere, aveva
del sesso femminile.

«Ora, a questo proposito, io ho un pensiero e cioè che l’ex-ministro, mosso certamente da un


lodevole sentimento, abbia della educazione femminile un concetto un po’ antiquato. Ciò lo
desumo anche da un altro fatto e cioè che nei licei femminili la direzione non può mai essere
affidata ad una donna. E perché mai? Noi oggi abbiamo avvocati donne, medici donne e ci
prepariamo anche in un termine più o meno lontano all’elettorato femminile. Se poi guardiamo
all’estero troviamo che ci sono perfino delle donne ministri, che partecipano agli affari di Stato.
Ora io non dico che dobbiamo arrivare di corsa a questi estremi: sarebbe un gravissimo errore
ed una infelicità per tutti. Forse ne avrebbe piacere il partito popolare perché i preti avrebbero
modo di esercitare maggiore influenza; ma, ripeto, non voglio fare questioni politiche. Ma,
d’altra parte, arrivare al punto che una donna, anche se meritevole, non possa dirigere un istituto
femminile, mi pare che sia assolutamente un po’ troppo. In certi casi la donna alla direzione di
questi istituti starebbe certamente meglio di un uomo attorniato da tante gonnelle. Del resto
abbiamo avuto esempi luminosi in questa materia, come la Fuà Fusinato, la De Gubernatis ed
altre ancora» 113.

Il senatore Credaro, dal canto suo, rimproverava il ministro di aver «bandito le scienze dal
liceo femminile» e di averle indebolite «nelle altre scuole medie per far posto alla filosofia», con
l’errata convinzione che i giovani italiani possedessero «il suo bernoccolo metafisico»114 . L’accesa

112 AP, Senato, Leg. XXVII, Discussioni, 3 febbraio 1925, Seguito discussione, pp. 1305-1306.
113 Ivi.
114 AP, Senato, Leg. XXVII, Discussioni, 5 febbraio 1925, Seguito discussione, p. 1379.
33

discussione che si svolse, come abbiamo visto, anche su altri aspetti della riforma, non impedì che il
bilancio del MPI venisse approvato115.

Difese e critiche del Liceo femminile

Fin dal principio la riforma fu oggetto di critiche e lodi che apparvero sui principali
quotidiani e periodici dell’epoca. I gentiliani Codignola e Lombardo Radice dall’inizio del 1923
pubblicarono sulle loro riviste articoli inneggianti alle creazioni della riforma, comprese quelle
fallimentari quali il liceo femminile e la scuola complementare116 . Un lungo articolo di Mario
Casotti su «Levana», la rivista di Codignola, difendeva il Liceo femminile, che secondo l’Autore
veniva a colmare la lacuna dell’istruzione femminile, tacciando gli oppositori di non possedere la
necessaria competenza per criticare le istituzioni scolastiche. Pur riconoscendo che la scuola creata
da Gentile non era scevra di difetti, le attribuiva il merito di essere un coraggioso tentativo di
risolvere l’annosa questione dell’istruzione femminile e difendeva a oltranza la cultura
«disinteressata», condannando il «crasso utilitarismo della educazione familiare» che dilagava in
Italia e allontanava gli alunni dei licei dall’amore per i «puri studi» con il miraggio di ben più
lucrosi mestieri. Una scuola di cultura disinteressata, sosteneva Casotti, era indispensabile per la
donna, ancora più che per l’uomo, che poteva nascondere le proprie deficienze culturali
nell’acquisizione di una professionalità, mentre la donna era destinata ad essere madre ed
educatrice. Negando alla donna il diritto di intraprendere una professione e dedicarsi al lavoro fuori
di casa, plaudiva al fatto che finalmente Gentile avesse istituito una scuola per le donne «senz’altro
attributo», ossia per le casalinghe, salvaguardando il Paese dal pericolo di essere dominato da un
tipo femminile che fosse «indescrivibile miscuglio della “femme savante” colla donnina allegra:

115 Sulle discussioni parlamentari relative alla riforma Gentile v. J. Charnitzky, Il dibattito critico sulla riforma Gentile
in Italia e all’estero, in G. Spadafora (a cura di), Giovanni Gentile. La pedagogia, la scuola, Roma, Armando, 1996, pp.
341-367 (poi, con alcune modifiche, in J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943),
Firenze, La Nuova Italia, 1996, alle pp. 156-191). Cfr. anche T. Tomasi, Idealismo e fascismo nella scuola italiana,
Firenze, La Nuova Italia, 1969, pp. 55-61; M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Bari, Laterza, 1981, pp.
34-42; P. Genovesi, La riforma Gentile tra educazione e politica. Le discussioni parlamentari, Ferrara, Corso, 1996.
116 Cfr. J. Charnitzky, Il dibattito critico sulla riforma Gentile in Italia e all’estero, cit., p. 344.
34

istinti uterini rilegati in cartapecora da in-quarto, o coda di sirena seppellita sotto un ammasso di
dispense universitarie»117.
Se l’incredibile articolo di Casotti abbinava la cultura professionalizzante per la donna al
meretricio, la difesa della scuola borghese era uno degli argomenti su cui si basava l’approvazione
della rivista di Lombardo Radice, «L’Educazione Nazionale»; Ferdinando Pasini, preside del Liceo
femminile di Trieste, elogiava la trasformazione del vecchio liceo austroungarico in vera scuola di
cultura in cui le famiglie benestanti «potessero dare alle loro figliole un’educazione utile per la vita
domestica, intesa però non nel senso di una vita bruta e materiale, ma sì di una vita illuminata e
raggentilita dal sapere, dall’intelligenza e dal buon gusto»118. Più avanti si spingeva ad affermare
che il Liceo femminile non era una scuola del popolo, e che anzi «democratica fino a tal punto non
è mai stata nessuna delle scuole medie. Le quali furono sempre, più o meno, campo riservato alla
borghesia»119 : il ministro non aveva modificato nulla, limitandosi a riconfermare il carattere elitario
di certi tipi di scuole. In genere i difensori del Liceo femminile ammettevano che la scuola non era
ancora perfetta, e che durante gli anni si dovessero fare degli aggiustamenti di tiro come in ogni
istituzione sperimentale. Oltre che sui periodici, la riforma venne fatta oggetto di larghe
approvazioni nei testi degli allievi e dei sostenitori di Gentile che si susseguirono fittamente nel
periodo ad essa successivo. Dario Lupi, sottosegretario del MPI ed esponente del PNF, dava alle
stampe nel 1924 La riforma Gentile e la nuova anima della scuola, libro che raccoglieva le
relazioni dei direttori generali della PI, ovviamente esaltanti il nuovo assetto scolastico; la relazione
di Trivelli, reggente generale per l’istruzione media, definiva «pregio non piccolo del decreto 6
maggio» l’aver distinto le scuole una dall’altra, assegnando a ciascuna un fine specifico120 .
Ferruccio Boffi nel suo La riforma scolastica e il gabinetto Gentile si faceva portavoce della storia
ufficiale della riforma, in quanto capo dell’ufficio stampa del ministro, e sosteneva le innovazioni
gentiliane, fra cui il Liceo femminile, che aveva il merito di fornire alle fanciulle «un corredo di

117M. Casotti, Educazione femminile e Liceo femminile, in “Levana”, a. II, n. 5, settembre-ottobre 1923, pp. 454-463.
Casotti (1896-1975), allievo di Gentile, se ne distaccò quando, nel 1924, fu chiamato da padre A. Gemelli all’Università
Cattolica del sacro Cuore, convertendosi repentinamente dall’attualismo al cattolicesimo. Cfr. G. Chiosso, Novecento
Pedagogico, Brescia, La Scuola, 1997, pp. 209-212.
118 F. Pasini, Il Liceo femminile secondo la riforma gentiliana, cit., p. 289.
119 Ivi, p. 290.
120 L. Trivelli, Per l’istruzione media, in D. Lupi, la Riforma Gentile e la Nuova Anima della Scuola, Roma, Mondadori,
1924, p. 74. Gli autori delle altre relazioni erano G. Lombardo Radice per l’istruzione primaria, U. Frascarelli per
l’istruzione superiore e A. Colasanti per l’istruzione artistica e l’amministrazione antichità e belle arti.
35

cognizioni utili per il ménage domestico e per i rapporti sociali correnti» 121. Carmelo Licitra, altra
fra le figure che circondavano Gentile, lodava la funzione selettiva della scuola media come
«passaggio dal popolo alle aristocrazie spirituali»122 . Balbino Giuliano, futuro ministro della PI,
firmava uno sperticato elogio della riforma, sostenendo che la divisione delle scuole in liceo, istituto
tecnico e scuola complementare, cui si aggiungevano i più particolari istituto magistrale e Liceo
femminile, rispondeva in pieno alle diverse finalità dell’educazione, della vita nazionale e delle
esigenze economiche delle varie classi sociali123; altri consensi si levavano dai gentiliani, fra i quali
Carmelo Sgroi, allievo del filosofo, autore di un saggio retorico e genericamente elogiativo,
com’era lo spirito di certa letteratura fascista124. Fazio Allmayer, uno dei più fedeli allievi di Gentile
all’epoca, riassumeva così il carattere elitario e antifemminista del Liceo femminile :

«L’istituto che si differenzia dagli altri è il liceo femminile dove, accanto a una preparazione
pratica (lavoro, economia domestica) atta a fare dell’alunna una buona madre di famiglia, si ha
un insegnamento con caratteri artistici, tale da affinare l’animo, da renderlo più sensibile
all’ordine, alla bellezza, all’umanità della vita. È un’educazione un po’ aristocratica; ma non
aristocratica in senso cattivo, cioè frivola e superficiale, aristocratica in senso buono, fatta di
finezza, di signorilità, di umanità»125.

Sul fronte opposto le critiche assumevano toni polemici e sovente indignati. Contro la
riforma si schierò l’area socialista, con i quotidiani «L’Avanti!» e «La Giustizia» e le riviste «Critica
Sociale» e «Libertà» ; liberali, repubblicani e radicali, con «Il Mondo», «La Rivoluzione Liberale»,
La «Voce Repubblicana» e «La Stampa»; gli intellettuali comunisti, in «Ordine Nuovo», e i radicali
democratici di Credaro nella «Rivista Pedagogica»; anche Gramsci, dal carcere, denunciava le

121 F. Boffi, La riforma scolastica e l’ufficio stampa del Gabinetto Gentile, Palermo-Roma, Sandron, 1925, p. 64. Boffi,
nazionalista e fascista, era un vecchio compagno di Gentile della Normale di Pisa: v. S. Romano, Giovanni Gentile. La
filosofia al potere, cit., p. 173.
122
C. Licitra, La nuova scuola del popolo italiano, Roma, C. De Alberti, 1924, pp. 116-117; il Licitra era allievo di
Gentile, cfr. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, cit., p. 313.
123B. Giuliano, La politica scolastica del governo nazionale, Milano, Alpes, 1924, pp. 46-47. Giuliano fu ministro dal
1929 al 1932.
124C. Sgroi, Giovanni Gentile e l’educazione nazionale fascista, Lucera, Daunia, 1924. Sia Sgroi sia Giuliano avevano
aderito, nel 1920, al Fascio di Educazione Nazionale: v. J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del
regime (1922-1943), cit., pp. 63-64. A favore della riforma si espressero anche, sul fronte idealista, F. Albeggiani e C.
Dentice d’Accadia.
125 V. Fazio Allmayer, La riforma della scuola, “Levana”, a. II, n. 6, novembre-dicembre 1923, p.559.
36

discriminazioni di classe della riforma, accennando alle scuole fini a se stesse per signorine126 .
Furono numerosi gli interventi nel periodo immediatamente seguente all’applicazione del nuovo
ordinamento scolastico, che durarono fittamente fino all’estate del 1924, fin quando il delitto
Matteotti e l’instaurazione del regime totalitario costrinsero la stampa di opposizione ad occuparsi
di altri e ben più gravi eventi.

«Colla molle danza si educhino in pubbliche scuole gli ingannevoli cuori e con varie dosi di
giuridica scienza ed economica e storica e metafisica e linguistica, strane civetterie inoculate per
diletto, si insegni ai deboli cervellini non altro che la nausea della saggezza e nuovi sogni esperti
e complicati spleen di bambole parigine» 127.

Lo sdegno con cui si esprimeva Gobetti in queste righe dell’articolo La scuola delle
padrone, dei servi, dei cortigiani emergeva in tutti gli altri numerosi articoli apertamente polemici
che «La Rivoluzione Liberale» pubblicò all’indomani della riforma; Augusto Monti, che già aveva
sottoscritto il Fascio di educazione nazionale insieme a Gentile, era uno dei nomi che più spesso
apparivano in calce agli articoli di terza pagina che tuonavano contro l’opera del filosofo siciliano.
In particolare, Monti polemizzava contro la scuola di «cultura generale», considerandola la rovina
dell’istruzione128, contro il monopolio governativo sulla scuola e l’esame di Stato, contro il carattere
elitario della riforma che privilegiava i «galantuomini» a scapito delle classi proletaria e piccolo-
borghese: «Sociale dunque la riforma Gentile più che politica: cioè rivolta a favorire più una classe
che l’altra, anzi, in una classe, più una categoria che l’altra» 129.
«La Voce Repubblicana», che in un editoriale contestava la scelta di diminuire il numero
delle scuole definendolo «una furiosa e precipitosa devastazione degli istituti presenti non
accompagnata da un altrettanto celere e giudiziosa loro ricostruzione » 130, ospitava l’opinione di un
anonimo preside sull’accantonamento delle materie scientifiche nel Liceo femminile:

126 “Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola “disinteressata” (non immediatamente interessata) e “formativa” o
di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un
avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la
sua futura attività sono predeterminate”. A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Roma, Editori
Riuniti, 1996 (prima ed. 1977), p. 124.
127 P. Gobetti, La scuola delle padrone, dei servi, dei cortigiani, cit., p. 53.
128A. Monti, Dalla scuola dell’ “orator” alla scuola del citoyen”, “La Rivoluzione Liberale”, a. II, n. 7, 25 marzo
1923, p. 32.
129 A. Monti, La scuola dei galantuomini, “La Rivoluzione Liberale”, a. II, n. 40, 18 dicembre 1923, p. 163.
130 La riforma della scuola media e le sue pratiche conseguenze, “La Voce Repubblicana”, a. III, 18 settembre 1923, p.
1.
37

«Troviamo poi un Liceo femminile dal quale usciranno signorine che balbetteranno qualche
frase latina e si mostreranno mediocrissime nel ballare, nel danzare, nel suonare uno strumento
musicale, ma poi non sapranno fare un conto (nel Liceo femminile non vi è aritmetica) e non
capiranno nulla della vita reale (nel liceo femminile non vi è traccia di scienze sperimentali)
» 131.

Il Liceo femminile, di cui nessuno sentiva il bisogno, poiché le famiglie avrebbero seguitato
a ricorrere all’insegnamento privato per le loro figliole, era una scuola di classe e anacronistica132 .
Anche «Il Mondo», fra le sue stroncature alla spirito antidemocratico e antiliberale della riforma,
definiva il Liceo femminile un «istituto senza ragion d’essere e senza vita»133. La «Critica Sociale»
riportava nel 1923 il giudizio di Rodolfo Mondolfo sulla soppressione di molte scuole normali :

«L’indirizzo antidemocratico di questa azione scolastica non ha bisogno di essere dimostrato.


Tanto più che le fa riscontro l’istituzione di una scuola di puro lusso [...] che non deve servire a
nessuna finalità sociale. È questo il caso dei licei femminili, che devono rispondere unicamente
al desiderio delle classi ricche, di un raffinamento della cultura delle signorine, cui lo Stato
fornirà d’ora in avanti, insieme colla danza e lo strumento musicale, anche il latino e la filosofia,
capaci di renderne più intellettuale la conversazione. Il concetto che il dovere dello Stato si
estenda fin dove arriva l’interesse pubblico, e che agli interessi privati debban provvedere le
famiglie, è così abbandonato e capovolto : quel che è conteso al bisogno sociale è concesso al
lusso privato» 134.

Il periodico socialista pubblicò in diversi numeri, nel 1924, una serie di interventi di Emidio
Agostinone, poi riuniti in un polemico libello intitolato La più fascista delle riforme fasciste135 , che
insisteva sul ruolo classista del «nato morto» Liceo femminile : «Un Liceo per signorine non poteva
essere che una scuola di classe, dedicata alla media e ricca borghesia, e come tale doveva far leva
sul desiderio che alcune famiglie hanno vivissimo: quello di separare le loro figliole, recisamente,
da quelle delle altre classi sociali», e ne invocava l’immediata soppressione136.
Più cautamente si pronunciava «La Civiltà Cattolica», a un anno dall’istituzione del Liceo:
pronosticava che non avrebbe avuto molte iscritte, a motivo della sua finalità di scuola di cultura,
già assolta egregiamente dagli istituti femminili religiosi, i quali inoltre agivano nel rispetto

131 Un Preside, Le impressioni di un insegnante su la riforma della Scuola Media, “La Voce Repubblicana”, a. III, 21
settembre 1923, p. 3.
132 L.N., Particolari piacevoli sulla riforma Gentile, “La Voce Repubblicana”, a. III, 28 ottobre 1923, p. 3.
133 La riforma del ministro Gentile, “Il Mondo”, a. II, 14 settembre 1923, p. 1.
134 R. Mondolfo, La riforma della scuola, “Critica Sociale”, a. XXXIII, n. 11, 1-15 giugno 1923, p 169.
135E. Agostinone, La più fascista delle riforme fasciste. Il pensiero socialista su la riforma regalataci dal filosofo del
manganello con prefazione di Filippo Turati, Roma, Partito Socialista Unitario - Ufficio Stampa, 1925. Gli articoli
vennero pubblicato in “Critica Sociale”, a. XXXIV, 1924, nei seguenti fascicoli: n. 19 (1-15 ottobre), pp. 296-298; n. 17
(1-15 ottobre), pp. 266-269; n. 18 (16-30 settembre), pp. 285-286; n. 20 (16-31 ottobre), pp. 318.319; n. 21 (1-15
novembre), pp. 333-335; n. 22 (16-30 novembre), pp. 346-348.
136 E. Agostinone, La più fascista delle riforme fasciste, cit., pp. 27-30.
38

dell’educazione morale e che accoglievano anche le figlie dei fautori della scuola laica, e ne
approfittava per lanciarsi in una requisitoria contro questi ultimi :

«Infatti, negli educandati delle religiose vi sono figlie di senatori, deputati e uomini politici, i
quali, con stridentissima incoerenza, promovevano leggi di laicità e restrizioni e vessazioni alle
scuole private, a quelle appunto cui preferiscono affidare l’educazione delle loro figliole !» 137.

Per il resto, la rivista si limitava a polemizzare contro l’esame di Stato, mentre riconosceva
alla riforma il merito di aver reintrodotto il latino nella scuola media, del quale era «ingiusta [...]
l’esclusione dalla cultura della donna, in ordine alla sua formazione cristiana ed italiana»138.
Il quotidiano del Partito Popolare, “Il Popolo”, si muoveva su analoghe requisitorie contro
l’esame di Stato, approfittando dell’argomento “Liceo femminile” per ribadire il ruolo essenziale
delle scuole private: del Liceo di regia istituzione non si sentiva alcuna necessità, perché all’uopo
servivano già le numerose e ottime scuole private, che non sfornavano diplomi, bensì educavano
anime e formavano coscienze. Alle obiezioni di chi sosteneva che le scuole private erano costose,
l’Autore dell’articolo, Lully, non si faceva scrupolo di dichiarare: “La scuola [...] è un lusso
sublime, chi questo lusso non può permetterselo ne faccia a meno!”, e proseguiva con la proposta di
sbarrare le scuole pubbliche ai “mocciosi, i fannulloni e i poltroni” che sarebbero riusciti meglio nei
mestieri di falegname, sarto o calzolaio; se poi alcuni meritevoli fossero rimasti esclusi dalle scuole
di Stato, pazienza, lo Stato li avrebbe indirizzati verso le private, naturalmente confessionali139.

Decadenza e fine ingloriosa di una scuola inutile

Nell’anno scolastico 1925-26 le alunne del Liceo femminile erano 113: una cifra sparuta, se
messa a confronto con quella degli altri istituti. L’altra scuola femminile, che il Liceo femminile
doveva nelle intenzioni in buona parte soppiantare, il magistrale, aveva 21.491 iscritte, di cui 8.607
nel corso superiore; la complementare, che di lì a poco sarebbe stata soppressa, era frequentata da
54.305 iscritti, seconda solo al ginnasio-liceo, che fra gli istituti regi e i pareggiati raggiungeva i
55.333 iscritti. Seguivano gli istituti tecnici, con un totale di 34.117 alunni, i ginnasi isolati, con

137 La nuova riforma scolastica, “La Civiltà Cattolica”, a. 75, vol. I, quad. 1709, 1° marzo 1924, pp. 392-393.
138 La nuova riforma scolastica (II), “La Civiltà Cattolica”, a. 75, vol. I, quad. 1770, 15 marzo 1924, p. 511.
139 G. Lully, Liceo femminile e psicologia scolastica, “Il Popolo”, 10-11 ottobre 1923, p. 4.
39

11.894, i neonati licei scientifici, con 5.492 alunni; e, infine, i famosi corsi integrativi di gentiliana
ideazione, con i suoi scarsi 2.854 iscritti, che erano purtuttavia una folta popolazione se paragonata
a quella dei licei per signorine.

Tabella 3. Popolazione scolastica nei Licei Femminili140

Anno Istituti Iscritte Insegnanti Licenziate


M F MF
1923-24 7 124 - - - 16
1924-25 6 113 - - - 36
1925-26 6 88 14 43 57 22
1926-27 5 97 8 29 37 -
1927-28 4 49 - - - -

Le statistiche ci informano sulle preferenze delle giovinette, che si iscrivevano in massa


all’istituto magistrale (19.361) e alle scuole complementari (17.260); al terzo posto c’era il
ginnasio-liceo (9.340), seguivano con largo distacco gli altri istituti. Il Liceo femminile era l’ultimo:
solo la sezione di agrimensura dell’istituto tecnico aveva racimolato un numero inferiore di alunne,
appena 46. Ma era un risultato fallimentare per una scuola che doveva rappresentare il luogo di
formazione culturale per la donna, e la dimostrazione che le fanciulle continuavano a rivolgersi
all’istituto magistrale, contrariamente a quanto Gentile aveva pronosticato141.
L’anno successivo la situazione non era migliorata. Le allieve del Liceo femminile erano
calate a 102, mentre la popolazione scolastica complessiva era aumentata di 5.712 unità (da
185.509 a 191.311): l’istituto magistrale contava ora, nel solo corso superiore, 7.973 alunne e

140 Per le fonti di questa tabella cfr. la nota 142.


141I dati sono tratti da MPI, Direzione Generale dell’Istruzione Media, Statistiche sugli istituti medi d’istruzione, Roma,
Provveditorato Generale dello Stato-Libreria, 1926, pp. 234-235, e riguardano sia gli istituti regi sia i pareggiati.
40

19.697 nei due corsi. L’incremento si registrava in tutti gli altri corsi, esclusa la sezione di
agrimensura con due sole allieve, e il Liceo femminile perdeva colpi142.
Tra la fine del 1926 e gli inizi del 1927 il Ministero fu costretto a prendere atto
dell’insuccesso di quella scuola che a malapena raggiungeva il centinaio di alunne, e procedette alla
soppressione retroattiva dei licei di Venezia, Cagliari, Padova e Verona specificando che, in realtà,
essi non avevano mai funzionato143 . Seguì una serie di decreti di soppressione graduale o totale
degli istituti che avevano avuto uno scarsissimo numero di iscritte, e con quelle brevi e asciutte
righe si giunse, agli inizi del 1928, a concludere l’esperimento di una scuola sul quale il regime calò

142 MPI, Direzione Generale dell’Istruzione Media, Statistiche sugli istituti medi d’istruzione, Roma, Provveditorato
Generale dello Stato-Libreria, 1927, pp. 437-465. I dati, che dichiarano 5 Licei femminili con 102 alunne, non
collimano con quanto riportato nell’Annuario del MPI del 1927, che per i 5 istituti elencano 97 alunne: cfr. MPI,
Annuario 1927, Roma, Provveditorato Generale dello Stato-Libreria, 1927, pp. 571-572. Per la compilazione della
tabella 3 si è preferito, quale dato più attendibile, quello riportato nel volume statistico. Stessa difficoltà si è incontrata
per l’anno 1927-28, dove la statistica dell’Istat segnala 4 istituti con 49 iscritte, mentre nell’Annuario sono elencati 5
istituti con 58 iscritte; in questo caso si è preferita la prima fonte. Cfr. MPI, Annuario 1928, Roma, Provveditorato
Generale dello Stato-Libreria, 1928, pp. 561-562; Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, Statistiche
intellettuali - Statistica dell’istruzione media per l’anno scolastico 1931-32 e notizie statistiche per gli anni scolastici
dal 1927-28 al 1930-31, vol. 10, Roma, Tip. I. Failli, 1936, pp. 99, 101-104. I dati sono incompleti per gli insegnanti e
le licenziate, che per alcuni anni mancano in tutte le fonti che abbiamo consultato, e per i singoli istituti, per i quali non
è stato possibile compilare una tabella a parte. Un’ulteriore discrepanza si riscontra confrontando i dati statistici
dell’Istat e del MPI e degli Annuari MPI con le cifre riportate sui DM di soppressione di alcuni istituti (“Considerato
che il R . Liceo Femminile di ... ebbe, nell’anno scolastico 1925-26, n. ... alunne, ecc. ecc.”); pur non potendo fornire
dati di estrema certezza, poiché le stesse fonti ufficiali presentano delle oscillazioni, essendo queste ultime assai lievi ci
sentiamo di dire che le cifre presentate fotografano con sufficiente precisione la realtà del Liceo femminile, soprattutto
se rapportate alla popolazione scolastica complessiva italiana.
Le altre fonti consultate per la compilazione della tabella sono, oltre quelle già citate, le seguenti: Presidenza del
Consiglio dei Ministri - Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, Annuario Statistico Italiano, terza serie, vol. I,
Roma, Stab. Poligrafico per l’Amministrazione dello Stato, 1927, pp. 70, 72; Presidenza del Consiglio dei Ministri -
Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, Annuario Statistico Italiano, terza serie, vol. II, Roma, Stab. Poligrafico
per l’Amministrazione dello Stato, 1928, p. 76; Presidenza del Consiglio dei Ministri - Istituto Centrale di Statistica del
Regno d’Italia, Annuario Statistico Italiano, terza serie, vol. III, Roma, Stab. Poligrafico per l’Amministrazione dello
Stato, 1929, pp. 87-89; MPI, Annuario 1923, Roma, Tip. Operaia Romana Cooperativa, 1923, p. 622; MPI, Annuario
1924, Roma, Libreria dello Stato, 1924, pp. 503-504; MPI, Annuario 1925, Roma, Libreria dello Stato, 1925, pp.
535-536; MPI, Annuario 1926, Roma, Provveditorato Generale dello Stato-Libreria, 1926, pp. 539-540; MPI, Annuario
1927, Roma, Provveditorato Generale dello Stato-Libreria, 1927, pp. 571-572. Secondo gli Annuari furono attivi, nei
vari anni i seguenti istituti :
1923-24: Cesena, Macerata, Milano, Napoli, Rovereto, Torino, Trieste ;
1924-25: Cesena, Macerata, Milano, Napoli, Rovereto, Torino, Trieste ;
1925-26: Macerata, Milano, Siena, Torino, Trieste (l’Istat aggiunge Napoli) ;
1926-27: Macerata, Milano, Siena, Torino, Trieste ;
1927-28: Macerata, Milano, Siena, Torino, Trieste (l’Istat non menziona Macerata).

143DM 27 dicembre 1926, Soppressione del Regio Liceo femminile di Venezia con effetto dal 1° ottobre 1923; DM 5
gennaio 1927, Soppressione del Regio Liceo femminile di Cagliari con effetto dal 1° ottobre 1923; DM 3 gennaio 1927,
Soppressione del Regio Liceo femminile di Padova con effetto dal 1° ottobre 1923; D M 3 gennaio 1927, Soppressione
del Regio Liceo femminile di Cesena con effetto dal 1° ottobre 1923.
41

un velo di silenzio144 . A sancirne il fallimento fu la stessa classe insegnante fascista, quando, nel
1939, commentò le dichiarazioni della Carta della Scuola :

« Il Liceo femminile della Riforma Gentile ebbe breve vita ingloriosa; concepito astrattamente,
esso non poteva rispondere ai desideri di una scolaresca che perseguiva, attraverso studi a tipo
culturale, una sua finalità pratica. Era una scuola più che borghese - una scuola di lusso - scuola
da signorine della così detta buona società: studio, lingue, musica, pittura, ballo ecc. ecc. Scuola
con l’inchino, il parlatorio in guanti bianchi, le recite in costume...»145.

La riforma aveva voluto rendere l’istruzione un privilegio delle classi più elevate; ma il
Liceo femminile si era dimostrato talmente esclusivo, nella sua inutilità, da decretare, nel modo in
cui era stato concepito, la sua stessa soppressione.

Eleonora Guglielman, 2004.

144 Si tratta dei decreti: DM 5 gennaio 1927, Soppressione graduale del Regio Liceo femminile di Macerata con effetto
dal 1° ottobre 1926; DM 5 gennaio 1927, Soppressione del Regio Liceo femminile di Cesena con effetto dal 1° ottobre
1925; DM 5 gennaio 1927, Soppressione del Regio Liceo femminile di Napoli con effetto dal 1° ottobre 1925; DM 21
maggio 1927, Soppressione graduale, a decorrere dal 16 settembre 1927, del Regio Liceo femminile di Milano; DM 10
settembre 1927, Soppressione graduale del Regio Liceo femminile di Torino; DM 10 settembre 1927, Soppressione
graduale del Regio Liceo femminile di Trieste; DM 10 settembre 1927, Soppressione totale del Regio Liceo femminile di
Macerata con effetto dal 16 settembre 1927; DM 10 settembre 1927, Soppressione graduale del Regio Liceo femminile
di Siena con effetto dal 16 settembre 1927.
145L. Pagano, L’ordine delle scuole femminili, in Carta della Scuola illustrata nelle singole dichiarazioni da Presidi,
Direttori e Professori dell’Associazione Fascista della Scuola - Sezione Scuola Media di Roma, Roma, Ed. Pinciana,
1939, p. 164. Lucia Pagano, fascista della prima ora, era stata tra le fondatrici del fascio femminile di Roma: cfr. V. De
Grazia, Le donne nel regime fascista, cit., p. 212.
42

Abbreviazioni usate
ACS Archivio Centrale dello Stato
AP Atti Parlamentari
MEN Ministero dell’Educazione Nazionale
MPI Ministero della Pubblica Istruzione
PI Pubblica Istruzione
PNF Partito Nazionale Fascista
RD Regio Decreto

Fonti e riferimenti bibliografici

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2. Leggi e decreti del Regno d’Italia

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Roma, 1877 ss.

3. Documenti ufficiali e statistiche

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Documenti, 1848-1850.
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media per l’anno scolastico 1931-32 e notizie statistiche per gli anni scolastici dal 1927-28
al 1930-31, vol. 10, Roma, Tip. I. Failli, 1936, pp. 99, 101-104.
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, Annuario
Statistico Italiano, terza serie, vol. I, Roma, Stab. Poligrafico per l’Amministrazione dello
Stato, 1927.
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, Annuario
Statistico Italiano, terza serie, vol. II, Roma, Stab. Poligrafico per l’Amministrazione dello
Stato, 1928.
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, Annuario
Statistico Italiano, terza serie, vol. III, Roma, Stab. Poligrafico per l’Amministrazione dello
Stato, 1929.
43

4. Pubblicazioni del Ministero della Pubblica Istruzione (dal 1929 : Ministero dell’Educazione
Nazionale)
Ministero della Pubblica Istruzione, Annali della istruzione media, 1927.
Ministero dell’Educazione Nazionale, Dalla riforma Gentile alla Carta della Scuola, Firenze,
Vallecchi, 1941.
Ministero della Pubblica Istruzione, Annuario, 1923-1928.
Ministero della Pubblica Istruzione, Bollettino Ufficiale, 1923-1928.
Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale dell’Istruzione media, Statistiche sugli
istituti medi d’istruzione, Roma, Provveditorato Generale dello Stato - Libreria, 1926.
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