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14 IDEE PER LA TELEVISIONE

Anche i broadcaster, nel loro piccolo schermo, sincazzano.


Perch se gli Gnomi del web rubano la moneta dellAttenzione, non ci resta che tornare alla vecchia Ira.
Carlo Alberto Carnevale Maff

Ladri dattenzione, ricettatori di contenuti e usurpatori di senso dappartenenza. Ce n abbastanza, nei confronti nei nuovi Opportunisti del Web, da provocare un legittimo moto dira per il sopruso subto, un sordo risentimento da lesa maest del focolare domestico, una sonora incazzatura da presa per i fondelli sul modello di business. E capita quindi che anche il pacato editore TV, col suo passato di fomentatore di disappunti da salotto, per anni messo sul banco deglimputati dallintellighenzia letteraria, ritenuto colpevole di aver sottratto la diligente giovent alla lettura delle monografie di Rinascita e soprattutto di aver trattenuto a forza in tinello frotte di casalinghe altrimenti attratte dal frequentare le platee del teatro davanguardia o le mobilitazioni popolari del partito dellindignazione, ora diventi accusatore. Irato per di pi, e indignato a sua volta contro glimpresentabili Opportunisti del

Web. Ma come si permettono, questi fenomeni del click e del touch, di turbare la quiete perfetta delle serate familiari liturgicamente organizzate dai broadcaster, con la famiglia a pencolare tra la fiction popolare e la gara di talenti, smangiucchiando un pezzo di tigg intanto che si attende il wrestling politico del talk show notturno? Quadretti dintimit perfetta, dove lunico conflitto era la lotta per il controllo dello Scettro a Infrarossi, bacchetta magica per far scomparire i canali noiosi: i nostri piccoli regni darmonia domestica scanditi dal metronomo delle pause pubblicitarie, ora sconvolti dallirruzione di questi rapinatori digitali, inopportuni rovinafamiglie dove ciascun membro sisola ad armeggiare sul suo smartphone, infami succhiaruote di unattenzione faticosamente scalata dal gruppo gregario di sceneggiatori e produttori TV, che ogni sera mette in campo il circo del proprio sudato spettacolo.

Narrami dunque, o Diva TV, lira funesta del sempre pi pallido broadcaster. Pallido come la sua luce azzurrina, irradiata ogni sera su milioni di sof sempre pi distratti. Pallido come il suo conto economico, prima esibito come trofeo, ora seminascosto con afflizione. Pallido come il suo palinsesto, ieri esuberante come la carte di uno chef pluristellato, oggi mesto come la fotocopia sgualcita di un menu da mensa aziendale. Ira fondata, si diceva, sulla triplice offesa ricevuta dai nuovi folletti del Web: il furto dattenzione degli spettatori, la ricettazione di contenuti altrui e lusurpazione del senso di appartenenza. Ladri dattenzione e ricettatori di contenuti Lattenzione dellaudience la moneta di scambio stampata ogni sera dallinstancabile zecca ufficiale della TV, fino a ieri indiscussa banca centrale dellInteresse Tematico, prestatore dintrattenimento di ultima istanza, quando ogni altra migliore opzione che so, un saggio sulla desertificazione dellAmazzonia o una rivista di geopolitica solidale si rivela impraticabile. Tramite quella moneta, il broadcaster scambia scampoli di palinsesto con spot pubblicitari. Il principio economico della TV infatti semplice: essa sfrutta le esternalit positive

dellattenzione umana, infilando nelle sue interstizialit dosi omeopatiche di comunicazione commerciale. Cos funziona lantico principio del bradipo: se la presunta minaccia che si presenta davanti agli occhi minore del costo della reattivit allertata, tanto vale non muoversi. Se cercare un nuovo canale interessante ogni volta che c uninterruzione pubblicitaria, in pi col rischio di perdersi qualche scena al rientro dal break, costa pi fatica dellimpalpabile disagio di beccarsi il miliardesimo spot, allora rimarremo seduti e sudditi. Pigri eppure inconfessabilmente rassicurati e felici. Invece ecco che quelle stesse mani che una volta si contendevano il telecomando, oggi stringono uno smartphone o un tablet. E gli occhi, i preziosi occhi che guidano lattenzione, ora saltano dal piccolo schermo del salotto al piccolissimo schermo del nostro grembo. Piccolissimo ma sensibile, vivace e intrusivo. Dove lo spettacolo che va in scena sul palcoscenico luccicante dalla TV continua tra i frizzi e i lazzi dei commenti sul social network, o dove lidea proposta dal talk show diventa chiave di ricerca sul web per qualche motore opportunista che se la rivende a fior di dollaroni. La fabbrica televisiva dellattenzione, tradizionale cornucopia di introiti pubblicitari, viene intercettata da chi, senza partecipare alla difficile opera di definizione dei contenuti, ne

sfrutta per i magici effetti sul popolo e si appropria intelligentemente, bisogna ammetterlo della sua coda lunga. Anche i grandi attori di Internet vivono di esternalit economiche, ma diversamente dalla mietitrebbia televisiva che raccoglie solo aggregati massivi dattenzione, il loro software fa da spigolatrice di Sapri di ogni singola spiga dattenzione individuale, raccogliendola e accudendola, per poi piazzarla sul dinamico mercato dei click- through e dei pop-up. Lattenzione prodotta faticosamente dalla TV viene venduta e monetizzata dagli splendidi Opportunisti del Web. Che, non contenti, diventano anche ricettatori di contenuti .Con i loro hashtag malandrini, scippati dal lavoro degli sceneggiatori TV: sappropriano del flusso agganciato al #talentdiprimaserata o al #talkshowpolitico senza nemmeno riconoscere ai poveri broadcaster non dico uno straccio di royalties, ma nemmeno lonore delle armi di una citazione, di un misero link al sito istituzionale, come per netiquette si farebbe anche per lultimo blogger sfigato. Niente. Opportunismo puro, e perfino irriconoscente. Usurpatori dappartenenza E che pretendono questi uccellini azzurri che svolazzano intorno ai nostri talk show, rubandoci temi, clienti e fatturato, scippando la conversazione da noi

pazientemente progettata? Chi sono questi vampiri del mouse, queste sanguisughe del touchscreen che si incistano nei nostri talent show e succhiano il sangue pubblicitario dei nostri preziosi personaggi, pazientemente selezionati al casting e ora rivenduti di frodo sui loro mille schermi per pochi centesimi a contatto? E poi, oltre al danno, la beffa: a noi i costi e gli oneri della vetust, a loro gli i ricavi e gli onori della modernit. E no, eh. Su Facebook e Twitter, questi mercenari globali si dividono le vesti dellappartenenza del nostro pubblico alle diverse community tematiche, mentre il broadcaster viene crocifisso al patibolo dei costi crescenti e dei ricavi inchiodati sul rigido legno di budget pubblicitari rinsecchiti e stagionatissimi. I social network si spartiscono i proventi maramaldeschi della faticosa opera di fondazione e costruzione di comunit sotto il nome della capricciosa e costosa star o dellarticolato e costosissimo format. Parassiti di comunit costruite con la nostra passione, zecche emofaghe dellaudience faticosamente riunita davanti al focolare al plasma, scarabei stercorari di frattaglie dei nostri discorsi sceneggiati. Noi a profonderci in sforzi titanici dipnosi collettiva. E loro, usurpatori dellappartenenza, a goderne i benefici, come figli di

secondo letto infiltratisi a corte del Sovrano, tale per volont del Dio dellEtere e per il bene del Popolo. Il vestito del vecchio imperatore televisivo un pesante broccato, sfilacciato e strappato. O forse il

vestito non c pi e limperatore broadcatser nudo come il suo Re-Contenuto. Nel frattempo era arrivata la rivoluzione dei sanculotti del web, e noi non avevamo niente da metterci.

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